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Se Carlone Calenda torna alll'ovile Pd (e perde per strada i moderati di destra)

Calenda visto da Makkox sull'Espresso

Francesco Specchia
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Adieu, Carlone, è stato bello finché è durato. “Il liberalismo mesce la rigovernatura come acqua di vita”, diceva il liberalissimo Karl Kraus, e non aveva ancora visto Calenda incastrato nella rigovernatura d’Italia tra Letta e Fratoianni. 

È finita la pochade del liberalismo di carta velina. Carlone e Enrico Letta hanno trovato l’accordo: un progetto politico sfilacciato, fatto di grandi collegi (dai 16 ai 25 in più parrebbe, con Calenda che, col 5% sulla carta, si becca il 30% dei seggi disponibili) e di piccole cose. Dunque, laddove per la loro coalizione ancora non si palesa un programma comune, ecco innalzarsi il feticcio dell’agenda Draghi al cielo, sempre che da quelle parti si riesca a riaprirla, l’agenda; ecco  la silente Bonino riuscire a spostare l’asse di Azione a sinistra contro la “destra sovranista”; ecco gran parte di quello che Giovanni Sartori chiamava l’ “elettorato fluttuante” dei moderati - spettri perduti alla ricerca di un nuovo campione- piombare all’improvviso in una bara di ghiaccio. Diceva Carlone, solo pochi giorni fa: «No con Bonelli l’antitrivellatore, no a Di Maio e agli ex grillini, mai con Fratoianni che ha votato 55 volte contro Draghi. Ci facciamo ridere dietro». E infatti poi s’è visto.

 Sembrava, lo statista dei Parioli, che nella sua ferrea coerenza ponesse veti perfino su sé stesso, ma poi dai veti è passato ai voti. Calenda s’è fatto due conti: la coalizione col Pd vale -secondo Youtrend- dal 4,4% al 6%; Letta gli è venuto incontro su tutto, proponendo che all’uninominale non si candidasse nessun leader; e il leader di Azione ha perfino ottenuto di essere l’altro front runner della coalizione, non dopo aver dichiarato di sentirsi perfetto come premier. È tornato, insomma, Calenda, all’ovile del Pd –uno dei tanti da lui frequentati- ma spuntando condizioni pazzesche. Un capolavoro tattico. Meglio di così, per uno che, insomma, non è né Adenaur né De Gasperi, non poteva andare.

Il problema, semmai sta in chi, in Calenda, ci aveva creduto davvero. Sta in quella turba di imprenditori, di liberi professionisti, di commercianti, di giornalisti, di borghesi grandi medi e piccoli piccoli delusi da Lega e Forza Italia; i quali, da centrodestra, avevano sul serio cullato l’illusione. Mai avrebbero pensato che la “terza via” di Damasco che doveva portare Carlone al grande centro sarebbe stata la lunga strada verso il nulla. Alessandra Ghisleri, sondaggista regina di Euromedia Research, è molto tranchant: per promuovere il suo partito e il sogno dei liberali Calenda doveva andare da solo, anche se poteva scontare qualche perdita all’uninominale. Ma sarebbe diventato l’ago della bilancia. Adesso, invece, con questa ennesima veronica, Calenda, perderà quei voti provenienti dal centrismo e dall’astensione stizzita (sui social, per lui, è un massacro) che stava abilmente intercettando ponendosi fuori dagli schieramenti. Il Rosatellum, tra l’altro, l’avrebbe aiutato. «Se Letta e Calenda fanno l’accordo Forza Italia e lega brindano», così, prima dell’accordo col Pd, commentava Renzi il quale ora resta, da sinistra, l’unico uomo di destra sulla piazza. 

Ora, qui noi non cadremo nella trappola di infiammare il dibattito con i commenti del centrodestra e di M5S, roba che varia da «la commedia degli orrori» di Mulè, al «mappazzone» della Bergamini al sarcastico campo largo «dove non manca più nessuno? Solo non si vedono i due liocorni» di Alessandra Todde. 

Né, sottolineeremo che Calenda, in realtà, è sempre stato un liberalsocialista, un blairiano, un liberal e non un liberale. Un  azionista fuori tempo massimo. Calenda, da sempre alla disperata ricerca di un punto d’appoggio, fu ottimo ministro,  concreto europeista,  draghiano prima di Draghi,  terzista apprezzabile alle elezioni romane (ma solo lì). Ma appunto per tutto questo, la sua “rigovernatura” in ammollo nell’acqua Dem oggi appare come un’operazione opportunista, una stonatura nella grande illusione di noi liberali rimasti appesi invano al primo pariolino che passava…

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