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Lo strano caso del Maigret senza Maigret

Georges Simenon in un collage

In "Pena la morte", raccolta di racconti, Georges Simenon sfodera storie fantastiche senza il suo commissario. Peccato che nella traduzione gli editori facessero finta di niente....

Francesco Specchia
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«Lei ha un appartamento? Le aveva chiesto un giorno Marcel. “Sa ho appena trovato un appartamento. È a Monmartre. Dalle finestre si gode una bella vista sulla città. Io l’ho affittato. Ora mi serve una moglie perché trasloco il 15 ottobre. Non la tenta?...». Esprite de finesse..

Così, con slancio immobiliare e in un dialogo scoppiettante, di colore cinematografico -tra la splastick comedy e Woody Allen prima di Woody Allen- la commessa Germaine riceve la sua prima avance dal futuro marito Marcel, cronista di boxe che finisce per conquistarla in un ristorante franco-italiano di Boulevard de Clichy. E tutto questo avviene prima che la ragazza scopra che il marito, attraverso un linguaggio fatto di gesti oscuri e porcellini in maiolica rosa, in realtà è un ladro. Un ladro qu che vende la sua merce a un ricettatore che altri non è che il padre, ripudiato, di Germaine stessa. Sta proprio qui, in un intreccio narrativo lieve e potente, l’essenza di I maialini senza coda, oggi racconto centrale della raccolta di inediti e seminediti firmata Georges Simenon, Pena la morte e altri racconti  (Adelphi, pp 155, euro 12).

L’operella di Simenon è ragguardevole per un pugno di ragioni. La prima è che si tratta di parte della produzione “estera” dello scrittore che –pur avendo la geografia sentimentale di Parigi appuntata sul cuore- nel ‘32 si traferì negli States, dove si sposerà; e, per dieci anni, diverrà quella “macchina da scrivere in pelle umana” (come lo definisce Marco Cicala) in grado di sfornare ben centosettantotto racconti rimasti nella leggenda.

La seconda ragione dell’importanza di Pena di morte è che la prima edizione della raccolta, nel 1950, uscì col titolo Maigret et les petits cochons sans queue. Che non c’entra nulla, perché nei racconti non v’è alcuna traccia del mitico commissario. Rivela infatti Ena Marchi, editor Adelphi assieme a Giorgio Pinotti, portatrice sana nell’editoria italica del virus simenoniano: «Quattro racconti di questo volume sono stati pubblicati da Mondadori negli anni 60; e, pur non avendo come protagonista Maigret, sono tutti apparsi nella collana Le inchieste del commissario Maigret: due (I maialini senza coda e Un certo signor Berquin) in un volume dal titolo Maigret e la vecchia signora di Bayeux,1966, e due (>Lo scalo di Buenaventura e Sotto pena di morte (Pena la morte nell'edizione Adelphi) in un volume dal titolo La pipa di Maigret, 1968».

La pipa, per inciso, è un feticcio letterario che qui fa capolino in quasi tutti i racconti -compreso quello che dà il titolo alla raccolta- nella bocca di Monsieur Latro, che riceve surreali minacce di morte dal truffatore Jules Chapus titolare d’un appeal tra Totò e Lino Ventura (e che poi finirà ammazzato, tanto per spoilerare). Ma, per tornare a bomba: perché nei racconti figura Maigret se non c’è Maigret? «Perchè, da quando avevano cominciato ad andare in onda le puntate dello sceneggiato con Gino Cervi ( 1964), l’editore si era rassegnato all'idea che Simenon per gli italiani fosse solo Maigret e cercava, diciamo così, di barare un po', pubblicando nello stesso volume racconti il cui protagonista era Maigret e altri in cui Maigret non c’entrava affatto», dice  Marchi. Ed è vero.

Ci fu un momento in cui lo stesso Simenon –come molti colleghi da Conan Doyle e Maurice Leblanc- si sentì asservito al successo mondiale del suo eroe. Eppure, in Pena la morte emerge il primo vero Simenon staccatosi da le Commissaire col quale dimostra solo di avere in comune un tabagismo irresistibile. Basta sfogliare il libello e immergersi nella prosa cristallina e accattivante del genio. 

Nel racconto Un certo Monsieur Berquin,un noioissimo geometra si divincola  dalla routine facendo schiantare l’auto nuova di cui era orgoglioso, mentre la bionda di passaggio che aveva incrociato al ristorante gli chiede i danni;  finisce che il geometra fugge in piena notte da contadini inferociti scivolando in un fiume, tra la vergogna della moglie. In Lo scalo a Buenaventura ci sono tre ceffi in Colombia che vivono in un “albergo che sembra un acquario giallastro”, tra whiskey e nebbia, in attesa di una via di fuga verso la Francia. Nel Peschereccio di Emile –vi fu tratto una pellicola nel ’50 dal titolo italiano Letto, fortuna e femmine, orrendezza delle traduzioni libere - Émile Bouet, ex mozzo nella flotta Larmentiel, dopo una vita di fatica e di risparmi, viene riconosciuto come figlio da un padre tornato dopo una latitanza. Ma per essere del tutto accettato dal genitore ricco borghese deve lasciare la sgualdrina con cui ha vissuto fino ad allora per sposarne un’altra, una Lamentiel.

In ogni pagina, insomma, è distillata l’essenza del miglior Simenon...

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