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Nord Stream e "l'ipotesi Spectre": il sospetto dietro il guasto

Daniel Mosseri
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Dal sospetto alla certezza. Nel giro di poche ore alcuni governi dei Paesi che si affacciano sul Mar Baltico hanno abbandonato la cautela delle prime ore definendo invece «atti deliberati» gli incidenti occorsi lunedì e martedì alle due pipeline Nord Stream 1 e 2. In conferenza stampa la premier danese Mette Fredriksen ha ribadito l'ipotesi del dolo, anche se «non abbiamo ancora informazioni sui responsabili». Copenaghen ha parlato di un'operazione «molto ben preparata», annunciando un'inchiesta sull'accaduto. Dello stesso avviso la premier svedese Magdalena Andersson, secondo cui «si tratta probabilmente di sabotaggio». Saranno i Säpo, i servizi segreti svedesi competenti per controspionaggio e antiterrorismo, a condurre un'inchiesta. Compito immediato dei governi è però mantenere la sicurezza nella regione; così il ministro dell'Energia danese, Dan Jorgensen, ha spiegato che le perdite di gas dureranno per almeno una settimana, fino all'esaurimento del gas nei tubi lunghi oltre 1.200 chilometri. Mentre il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha respinto le accuse di sabotaggio mosse contro il suo paese come «prevedibili, stupide e assurde», dall'altra parte dell'oceano il segretario di Stato Usa Anthony Blinken ha gettato acqua sul gas affermando che le perdite «non avranno un impatto significativo sulla resistenza energetica dell'Europa». In un raro gesto di appeasement anche Blinken ha scartato l'ipotesi della mano russa osservando che il danneggiamento dei gasdotti «non è nell'interesse di nessuno». Più ostile, invece, la richiesta del Cremlino agli Usa di spiegare se siano coinvolti nella faccenda: una domanda «ridicola», ha replicato il Dipartimento di Stato. Resta però da capire chi e come abbia agito per compromettere anche fisicamente una futuribile ripresa del commercio di gas Russia-Ue, oggi congelato dalla geopolitica. Libero lo ha chiesto allo svedese Patrik Hulterström. Dottorando in War Games alla Swedish Defense University, Hulterström conosce bene i fondali del Mar Baltico per aver operato per alcuni anni come uomo-rana della Marina svedese. «Sono stato un subacqueo da ricognizione delle forze anfibie del mio Paese».

Se lei e i suoi ex colleghi doveste compiere una simile azione di sabotaggio, di cosa avreste bisogno?
«Immergersi a profondità fra i 70 e i 90 metri non è impossibile ma molto complicato e, oltre al personale, richiede molta attrezzatura».

Niente sommozzatori?
«Credo che sia più facile utilizzare un Rov, un sottomarino a comando remoto senza pilota ma operato dalla nave-madre alla quale il Rov è collegato. Senza questo collegamento l'operatività sarebbe ridottissima perché i segnali radio sono deboli in acqua».

E cosa dovrebbe trasportare la nave-madre?
«Cariche esplosive da piazzare ad arte, in questo caso presso il gasdotto».

E l'innesco?
«Immagino un innesco con il timer per due ragioni. Non solo perché le radiofrequenze non sono affidabili sott' acqua ma anche per dare tempo a chi piazza le cariche di allontanarsi dall'area: non vuoi certo essere in zona quando scatta l'innesco».

Per questioni di sicurezza?
«Certo, nessuno sa cosa può succedere quando fai esplodere un gasdotto. E poi c'è la questione della rintracciabilità. Meglio essere molto lontani nello spazio e nel tempo dal luogo dell'esplosione».

Cosa vuole dire?
«Che possiamo immaginare un lasso di tempo anche sostanziale fra la preparazione del sabotaggio e il momento dell'esplosione».

È possibile che in uno specchio d'acqua relativamente limitato e trafficato come il Baltico nessuno si sia accorto di nulla?
«Questa è una zona del Baltico estremamente trafficata e mescolarsi fra le navi può essere facile. Di certo però un'operazione del genere richiede una lunga sosta sopra all'area scelta per il sabotaggio».

È un'operazione che solo una superpotenza può condurre?
«No, qualunque marina nazionale ha i mezzi necessari per questa operazione. E anche tanti privati: basta avere le cariche esplosive».


D'accordo è anche Hans Liwång, professore di Sistemi di difesa e ambiente marino presso la stessa Università svedese della Difesa. A Libero Liwång ricorda come il placido Mar Baltico sia il teatro di numerose operazioni militari, rese solo più frequenti dal conflitto russo-ucraino «ma non mi sembra che siamo in presenza di un atto di guerra, quanto di un'azione di sabotaggio. Un'azione che possono compiere stati, privati o organizzazioni terroristiche: la lista dei sospetti è molto lunga».

Ma perché nessuno ha visto nulla?
«Perché nessuno dispone di sensori per vedere a 80 metri di profondità. Non dalla costa né da un aereo da ricognizione: bisognerebbe essere in zona con le navi per vedere cosa succede sotto la superficie».

E i sistemi radar?
«Vedono e registrano i movimenti in superficie: non vedono se una nave opera anche sott' acqua né tantomeno rilevano i sottomarini».

Quanto tempo serve a riparare e danni di questa portata?
«Mesi, ma non c'è troppa fretta visto che nessuno due gasdotti era in uso al momento dell'esplosione. E comunque bisogna attendere l'uscita del gas contenuto nei tubi sul fondo del mare. A minore profondità, il gas resta nei tubi e l'acqua non entra».

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