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Giovanni Floris, una sciarada letteraria contro il declino culturale

 Giovanni Floris

Il giallo del giornalista intreccia la sparizione di una studentessa zelante con l'umanità che abita la scuola. E coinvolge scrittori di tutte le epoche

Francesco Specchia
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«La Floris è sempre la Floris...». La nostra massima solidarietà va alla professoressa Annamaria Floris - mamma di Giovanni Floris. La professoressa Floris è par di capire - un disincantato mix fra il professor Vivaldi dei romanzi didattici di Domenico Starnone e il professore Chipping del film Addio, Mr. Chips ossia due storici apologhi sulla classe docente che va in Paradiso.

Me l'immagino, la prof Floris, riaccogliere a lezione ogni santo giovedì, dopo il talk DiMartedì, il figliuol prodigo affamato di spunti romanzeschi, mentre gli somministra le dosi massicce di letteratura servite a costruire il nuovo libro di Giovanni, Il gioco (Solferino, pp 416, euro 19). Che è sia un romanzo giallo psicologico, sia una sciarada letteraria, sia un pamphlet sull'uso della discenza che - mi racconta lo stesso Floris- «fa riflettere sulla letteratura al centro della vita, attuando una sorta di rivolta contro il declino culturale. Mi sono chiesto cosa sarebbe successo se a un tratto i professori arrivati al limite, decidessero di usare le maniere forti (e qui la mamma non c'entra, ndr) ...». Giovanni se l'è chiesto e, in un paio d'anni, è sbocciato, appunto un gioco nel gioco. Il cui tema è sociale e politico, ed è atto d'amore al tempo stesso. Tutti argomenti assai cari a Floris il quale li aveva già sviluppato nei precedenti Ultimo banco e L'alleanza. Ma qua siamo oltre, a uno scatto superiore. La storia del Il gioco è quella di Rossella Catrambone, studentessa modello di un liceo che scompare all'improvviso, lasciando come perfetti sospettati Francesca «spacciatrice per convenienza, neofascista senza convinzione, insicura di sé e delle quattro parole d'ordine che legge su avambracci, muri e Instagram»; e Momo (Mansur all'anagrafe) italiano di seconda generazione sedicente simpatizzante dell'Isis e bandiere annesse, che «è indubbiamente un violento.
Dal suo punto di vista, quando c'è da picchiare picchia», così li descrive Floris.
Due emarginati naturali, drop out e bullizzatori seriali della ragazza scomparsa.

PERSONAGGI E, attorno a loro, si muove una varia umanità: un docente, Paolo Romano che sembra uscito dall'Attimo fuggente, dotato di un senso dell'indagine innato quanto quello del proprio fancazzismo; e Nilde, nomen omen, una poliziotta nata a Bologna durante la Bolognina; e Pastore, ennesimo prof scaltro, nemico giurato di Roma e complottista da talk show. Inoltre, ecco comparire presidi dal passato oscuro, bidelli ex eversori neri frequentatori della banda della Magliana; mentre sullo sfondo, s' erge il "gioco letterario", lo strumento di vendette risalente agli anni 80. Un gioco che esplode nel tripudio di indizi che portano ad una strana ragazza (e qui non spoilero) ; e a un temibile algoritmo in grado di ribaltare il senso stesso della scuola e della conoscenza.
Nel mezzo ci scorrono fiumi di riferimenti letterari.

L'autore più citato è E.A. Poe sia nelle iscrizioni fantastiche del Gordon Pym sia nella seccante inumazione da vivi, «il più terribile tra gli orrori estremi che siano mai toccati in sorte ai semplici mortali» della Sepoltura prematura, 1844. Poi, in ordine sparso fanno capolino: Arthur Conan Doyle, Edgar Wallace, Agatha Christie, Rex Stout tra i giallisti; Calvino, Freud, Carroll, Giordano Bruno e i surrealisti fra gli autori tout court. Si citano perfino Califano e Michele Zarrillo (Zarrillo!) che «non è uno scrittore, ma a modo suo potremmo definirlo un poeta contemporaneo... con una certa influenza sugli anni 90». Perfino il titolo del libro, Il gioco, richiama il capolavoro erotico di Milo Manara. A lasciarsi andare alla passione per tale straniante caccia al tesoro, be', si palesano selve d'eroi infilati nei programmi letterari delle superiori; e la "scrittura vincolata" del movimento OuLiPo; e il gusto estremo nel coinvolgere il lettore tipico del cult La mascella di Caino. Il puzzle letterario più diabolico del mondo perpetrato da Torquemada (un pastiche molto più complesso, per non dire astruso). Aggiungerei di rivedere nel culto per i libri applicato al delitto, un esprit di Stephen King, una quarantina di anni fa.

SELVA DI CITAZIONI Aperta parentesi. Giovanni, a questo punto, mi direbbe che sono io a citare un po' troppo. Pure se Walter Veltroni, a recensirlo sul Corriere della sera, ha evocato un proprio viaggio a Nairobi con padre Zanotelli, risalente ai tempi in cui l'ex segretario Pd voleva trasferirsi in Africa ma poi ha disdetto. Chiusa parentesi. E qui, torniamo a bomba, alla scuola come fonte e foce di tutto. Specialmente dei suoi eterni conflitti, radiografati nello scontro tra i due prof, Romano e Pastore. Il secondo dice: «È come la sposa di Duchamp. Un simbolo, un'opera alchemica. E alchimia vuol dire mescolamento. Mescolamento tra razze, tra culture. Gente povera e ignorante al posto di persone colte e benestanti. La confusione. Voi vedete un ragazzo di colore, o un terrorista: loro vedono un'opportunità di caos», Romano ribatte: «Voi vedete un professore, io vedo un cretino» . Qui, invece io vedo un esperimento. Riuscito. Dio benedica le prof pazienti e lungimiranti...

 

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