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Fontana, il reazionario figlio del popolo che conquistò 3 lauree e poi Montecitorio

Lorenzo Fontana

Eletto il leghista vice di Salvini: per le opposizioni è soltanto un "omofobo", ma in realtà è un conservatore dei quartieri operai di Verona che ha alle spalle anni di battaglie al comune e da ministro. Sempre per la famiglia e contro la guerra

Francesco Specchia
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Soltanto due settimane fa, il suo aplomb istituzionale se l'era ingoiato la curva sud del Bentegodi. Soltanto due settimane fa, dagli studi veronesi di Telenuovo, nella trasmissione Alè Verona condotta dal mitico Gianluca "Ciccio" Vighini (erede di Roberto Puliero, telecronista simbolo dello scudetto dell'85), Lorenzo Fontana sedeva come sulla sedia elettrica, grondando sudore, tifo e polvere da sparo. Il suo Hellas Verona perdeva 2 a 1 in casa, e Fontana, avvolto nel bandierone, gridava alle divinità gialloblu tutto il suo disappunto.

Ecco. A vederlo ieri, invece, nell'abito istituzionale di neo presidente della Camera, denso d'un eloquio vibrante e misurato, Fontana sembrava un'altra persona. Classe 1980, veronese purissimo, de soca - come si dice dalla nostre parti -, trilaureato (Scienze politiche a Padova, Storia all'Università europea di Roma e Filosofia alla Pontificia Università di San Tommaso d'Aquino), giornalista pubblicista, militante sin da giovanissimo della Lega Nord, Lorenzo Fontana, è un raro esempio di tenacia sussurrata.


LA SCALATA
Da genitori impiegati ospedalieri e padani della prim'ora, il neo presidente è nato carrelliere alla Fiera di Verona e consigliere comunale. E, in pochi anni, ha scalato tutti i gradini del potere: europarlamentare in sostituzione del sindaco della città Flavio Tosi, di cui era fedelissimo e che poi ha contribuito a depurare nella faida con Salvini; deputato; vicesegretario della Lega; ministro della Famiglia e disabilità; ministro per gli Affari Europei; vicepresidente della Camera. La Presidenza di Montecitorio, per chi lo conosce, era lo sbocco naturale.
Secondo una lettura superficiale, il suo nuovo ruolo farebbe, per compensazione, anche felici i "veneti", tagliati fuori dal lombardo Salvini da ogni gioco di potere. Ma è una lettura valida soltanto per gli elettori; nella realtà territoriale del partito Fontana è la naturale contrapposizione a Zaia. Nel Veneto occidentale, dalla prospettiva dell'Arena e di piazza Brà, non si muove foglia che Fontana non voglia.
C'era lui durante la cacciata e la scissione di Tosi. C'era sempre lui durante il primo incarico da sindaco di Federico Sboarina e - sussurrano - dietro la sua caduta con FdI. Fontana è una sorta di acutissimo monaco laico. Ha la vocazione dell'ombra: non lo si vede mai, ma con la coda dell'occhio ti accorgi che nei momenti topici, spunta sempre.
Il collega Alessandro Gonzato dice che Fontana «ricorda un po' Inzaghi, non lo vedi mai in campo, magari gioca una partita di merda, poi ti giri un attimo e te lo ritrovi che ha segnato e fatto segnare...».
Ed un po' è vero. Fisico da rugbysta di regia, aria rassicurante del secchione risoluto, l'uomo è la silhouette di Salvini sul muro del putininismo - quello identitario ma prima della guerra - e della famiglia tradizionale. È il suo braccio destro, e l'ex coinquilino delle notti passate all'Europarlamento a Bruxelles. È il templare di quel cattolicesimo mai domo e tradizionalista che spesso spinge lo stesso Salvini tra rosari, vescovi e Madonne di Czestochowa. Comunque vada lo zelo cattolico, col nuovo scranno, pare che le sue cinquanta Ave Marie al giorno recitate in surplace stiano funzionando.

Il suo problema - e la sua forza- è sempre stata la tendenza ad agire sotto la cresta dell'onda. A volte, politicamente, Fontana è talmente felpato al punto che qualcuno del centrodestra ne ha sbagliato il nome di battesimo, confondendolo con quello del governatore della Lombardia.
Fontana è, da sempre, immerso nel furor di popolo. Viene da un quartiere, il Saval - "el Saal", in veronese - relativamente nuovo, periferico, a due passi dal Chievo e da Borgo Milano e a un tiro di schioppo dall'abitazione del collega Massimiliano Fedriga. Frequenta i bar, le piazze e i mercati, soprattutto lo stadio. Da sincero ultracattolico oggi atlantista convinto, Fontana è sempre risultato per la sinistra un elemento "divisivo". E questa, dal punto di vista dei suoi elettori, è una medaglia.
Fu uno degli organizzatori del Congresso Mondiale delle Famiglie, che nel 2019 riunì a Verona i movimenti globali antiabortisti, antifemministi e anti-Lgbt. Nel 2018 partecipando al Festival per la Vita dichiarò: «Quella per la vita è la battaglia finale, i nostri popoli sono sotto attacco». Nel suo libro La culla vuota, con prefazione di Salvini, trattò le migrazioni dei clandestini e rimarcò la sua passione al tema della denatalità. Il suo limpido ma- diciamo- deciso cattolicesimo si riflette nella famiglia rigorosamente "tradizionale": una figlia, Angelica, e una moglie napoletana, Emilia Caputo, conosciuta al Parlamento Europeo e sposata con doppio rito, canonico e tridentino, intrecciato nella liturgia latina.

SUPERCATTOLICO
Sull'aborto ha affermato che «in molti casi è per una preoccupazione economica che alcune donne decidono di non avere figli. Mi piacerebbe che lo Stato fosse più vicino a queste donne per far capire loro che, nel dubbio, un figlio è meglio farlo». Oggi Fontana, dopo l'inizio dell'attacco all'Ucraina ha sostituito il suo putinismo e le magliette anti-sazioni che indossava a Bruxelles, con una condanna verso l'aggressore di Mosca. Di lui la stampa democratica, a cominciare, all'estero, dal Financial Times, non si fida. Eppure è uno dei conservatori più coerenti. E il suo discorso d'insediamento è stato un prologo di rara efficacia al suo mandato di «presidente della maggioranza e delle opposizioni». Ieri era visibilmnte commosso. Dopo esser sceso dalla curva sud...

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