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Greta Thunberg? Ecco Lomborg: il ragazzo che vuole "spazzarla via"

Massimo Sanvito
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Cari ambientalisti da strapazzo, gretini da salotto, cassandre capaci solo di spaventare adulti e bambini, finti-espertoni dalla narrativa catastrofista, talebani dell’ecologismo più sfrenato, esageratori di professione: è ora di mettere da parte l’ideologia e cominciare a raccontare la verità. Sui cambiamenti climatici e sulle modalità per affrontarli e governarli. E allora ecco una carrellata di previsioni spaventose e facilonerie tipiche della vulgata green confutate e messe alla berlina. Bjorn Lomborg - danese, omosessuale, vegetariano, professore aggiunto alla Copenhagen Business School, direttore del Copenhagen Consensus Centre da lui stesso fondato, già direttore dell’Environmental Assessment Institute e soprattutto autore nel 2001 del best seller “The Skeptical Environmentalist” (L’Ambientalista Scettico) e nel 2020 di “False Alarm: how climate change panic costs us trillions, hurts the poor and fails to fix the planet” (Falso allarme: come il panico del cambiamento climatico ci costa trilioni, danneggia i poveri e non riesce a sistemare il pianeta) – è l’anti Greta Thunberg che smentisce le congetture dei suoi “colleghi” ambientalisti. Una dopo l’altra.

POCHE SPECIE ESTINTE
Si fa un gran parlare del riscaldamento globale, foriero di morti, sciagure e migrazioni. Eppure è il freddo a uccidere di più. Di gran del lunga e in ogni continente del mondo. È la rivista scientifica inglese The Lancet a fotografare l’andamento dei decessi annui, per alte o basse temperature, dal 2000 al 2019. Qualche numero? Tra Stati Uniti e Canada si contano 171.000 persone morte di freddo e 20.000 di caldo; in Africa 1,2 milioni morti di freddo e 30.000 di caldo; in Asia ben 2,4 milioni decessi a causa di temperature rigide e 200.000 per l’esatto opposto. «L’energia economica e affidabile per tenerci al caldo era il segno distintivo dei paesi prosperi; non più a causa della nostra ossessione climatica», spiega Lomborg. Secondo uno studio pubblicato su Climate Reanalyzer (che fa riferimento al Climate Change Institute della University of Maine), il freddo uccide nove volte più del caldo, per un totale di 4,6 milioni di persone sparse in tutti gli angoli del mondo ogni anno.

Per quanto riguarda il clima in generale, con un grafico dell’International Disaster Database, l’accademico danese aveva già suonato la sveglia ai racconti di comodo sui cambiamenti climatici che produrrebbero più morti. Nulla di più falso: nell’ultimo secolo, infatti, i disastri hanno ucciso il 97,6 per cento in meJohn Kerry, il consigliere speciale del presidente statunitense Joe Biden in tema di clima, all’ultimo Forum economico mondiale di Davos si è lasciato andare a una dichiarazione tanto forte quanto non suffragata dai fatti. «Il 50 per cento di tutte le specie è stato ucciso», ha detto. «Semplicemente sciocco. Solo una delle tante cose straordinarie che ha detto a Davos», ha ribattuto Bjorn Lomborg con sarcasmo. Perché? Secondo le stime della Red List, ovvero la lista rossa delle specie minacciate che fa capo all’Unione internazionale perla conservazione della natura, fondata nel ’64 e divenuta la fonte di informazioni più completa al mondo sullo stato di rischio di estinzione globale delle forme animali, fungine e vegetali, solo lo 0,7 per cento di queste (su 153.726 specie totali) si è estinto. Forse un sottostima? Può essere, ma in ogni caso si tratta di percentuali nemmeno lontanamente paragonabili a quelle paventate da Kerry.

TANTI ORSI POLARI
Gli attivisti più pasdaran, per decenni, hanno usato gli orsi polari «come icona dell’apocalisse climatica ma i dati migliori mostrano che sono lungi dall’estinguersi», ha spiegato il direttore nonché fondatore del Copenhagen Consensus Centre. Il numero di questi giganteschi esemplari sta infatti crescendo. Gli scienziati del Polar Bear Specialist Group, nel solco della già citata Unione internazionale perla conservazione della natura, evidenziano che a oggi ne esistono tra i 22.000 e i 31.000. E se pensiamo che negli anni ’60 era stimata la presenza di 5/19.000 orsi polari, si capisce bene che i cambiamenti climatici non stanno producendo tutti quei danni millantati dagli ambientalisti di facciata. «Un accordo internazionale emanato nel 1976 limita la caccia all’orso polare, da sempre la minaccia principale per i loro numeri. Sono sopravvissuti durante l’ultimo periodo interglaciale, tra i 130.000 e i 115.000 anni fa, quando faceva significativamente più caldo di adesso», spiega Lomborg. La popolazione di orsi polari è al suo massimo negli ultimi sessant’anni ma guai a dirlo perché la narrativa mainstream alza il ditino per dire «non si fa». E l’accademico danese lo sa bene visto che facebook gli ha imposto il semaforo rosso. Ha scritto un post, riportando le statistiche degli scienziati e indebolendo così i soliti allarmi sul clima, ma l’Agence France-Presse le ha definite «fuorvianti». E quindi da censurare.

URAGANI MAI COSI DEBOLI
Anche gli uragani sono sfruttati dai gufi del clima per raccontarci che la natura si sta ribellando e la fine per tutti è sempre più vicina. Eppure, ancora una volta, se si osservano i dati si capisce che le cose non stanno affatto così. I grafici del Department of Atmospheric Science – Tropical Meteorology Project della Colorado University, a riguardo, sono molto chiari. Questi terribili fenomeni atmosferici, nel 2022, sono sì stati senza precedenti ma per la loro debolezza. Il secondo ciclone meno intenso dell’era satellitare (dall’80 a oggi) si è verificato proprio l’anno scorso. Di più: con appena 17 tifoni di categoria 3+ (la più alta), il 2022 ha registrato il quarto minor numero di eventi (con conseguenze anche devastanti) degli ultimi quarant’anni. Anche il totale è al ribasso: 40 cicloni nel 2022 contro il picco, di 59, annotato nel ’92. «Il 2022 è stato un anno di uragani insolitamente deboli. In ogni bacino, sia emisferi che globalmente, l’energia totale degli uragani è stata inferiore alla media. L’avete visto riportato da qualche parte?», è la domanda retorica che si pone Lomborg.

BARRIERA CORALLINA
Anche le ottime condizioni della barriera corallina non si adattano alla retorica green più estrema ma non si può negare il fatto che questa meraviglia di colori e biodiversità non è mai stata meglio. Secondo le pubblicazioni dell’Australian Institute of Marine Science, l’anno appena trascorso due terzi della Grande Barriera Corallina hanno raggiunto il massimo storico dall’86 a livello di copertura del corallo. E tutto ciò grazie a cosa? Al fatto che tra il 2020 e il 2022 lo stress termico si è affievolito, rispetto al periodo 2016-2017, facendo precipitare la mortalità dei coralli e anzi consentendogli di aumentare. Ma tu pensa... E allora meditiamo. Perché la retorica verde, vuota e forzata, sta diventando sempre più pericolosa. D’altra parte, quando si parla di scienza, sono dati e statistiche a parlare e a dare contezza dei fenomeni che attraversano il globo. Non gli “al lupo al lupo” dei gretini chic che si divertono a predire catastrofi che puntualmente non si verificano. 

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