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Pierluigi Battista: "Sinistra ipocrita, la Meloni rifiuti il test di antifascismo"

 Pierluigi Battista

Pietro Senaldi
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«Non mi faccia passare per un fascistone...».

Ma le pare?
«Di questi tempi basta poco…».

Domani ennesimo 25 aprile divisivo. Ci libereremo mai di questa condanna?
«Non è una storia nuova, va avanti così da quando De Gasperi volò negli Usa nel 1947 e al suo ritorno fece saltare il governo di unità nazionale perché gli americani non volevano i comunisti. La Dc allora venne accusata dal Pci di voler rompere l’unità antifascista e i 25 aprile successivi furono festeggiati separatamente, con i banchetti democristiani presi d’assalto negli anni ’70».

Invece De Gasperi voleva solo i soldi del Piano Marshall...
«Umberto Eco era un genio ma quel suo inventarsi la teoria del fascismo eterno, e arrivare pure a codificarne gli elementi, è stato un errore: ci ha garantito un 25 aprile di polemiche e insulti ogni volta che al governo c’è la destra con l’obiettivo di far passare l’idea che l’Italia sia sull’orlo della dittatura per mobilitare i cittadini e ribaltare l’esecutivo».

Come con i famosi morti di Reggio Emilia?
«L’antifascismo ha un andamento sinusoidale: dopo dieci anni di acquiescenza ricomparve quando l’Msi andò al governo nel 1960 con Tambroni, fatto cadere dai moti popolari. Si puntò sudi esso anche contro Berlusconi, ritratto in fez e stivali, lui che è tutto tranne che fascista. La sinistra arrivò perfino a dibattere se quello di Silvio ricordasse il fascismo del ’22 o quello del ‘25».

 

 

 

Magari la sinistra è davvero preoccupata ogni volta della stabilità democratica...
«Macché, l’antifascismo è un’arma politica usata con grande ipocrisia. Fu accusato di essere fascista anche Cossiga, di cui i famosi difensori della Costituzione chiesero l’impeachment. E si ricorda Craxi? Dicevano che aveva modificato geneticamente il Psi quasi riscoprendo la vecchia categoria del partito social-fascista. Anche a Saragat e La Malfa capitò di cadere nell’ombra del sospetto. E la Lega, malgrado Bossi, che pure la sinistra trasformò in icona antifascista quando sotto la pioggia, mentre si preparava a far cadere il primo governo Berlusconi, urlò “mai più con i fascisti”, è stata tacciata a lungo di sentimenti nostalgici, e tuttora lo è».

Ora è sotto la Meloni. Cosa dovrebbe fare?
«Faccia una cosa discreta. Vada all’Altare della Patria con Mattarella e ripeta quel che fu stabilito dal congresso di Fiuggi, ossia che l’antifascismo fu un momento decisivo per il ritorno della democrazia».

Basterebbe?
«Il premier non deve ascoltare le richieste della sinistra, che la vorrebbe in piazza per poterla insultare, come fece con il padre della Moratti, partigiano e in carrozzella. Penso che la destra faccia bene a sottrarsi all’esame di maturità del 25 aprile. Primo perché non ha nulla da dimostrare, secondo perché la giuria è faziosa e la boccerebbe comunque. C’è un’inversione del principio di innocenza per cui, se sei di destra, parti colpevole e per quanti alibi tu fornisca non basterà mai, te ne chiederanno sempre un ulteriore. Ma poi, questi esaminatori non hanno nessuna legittimità nel fare il test di democrazia agli altri».

“Mio padre era fascista”, è uno dei libri più importanti di Pierluigi Battista, scrittore e giornalista, per cinque anni vicedirettore del Corriere della Sera, e che fascista non è mai stato.
Anzi, ha iniziato a lavorare a Mondo Operaio, prima di scrivere, ormai più di vent’anni fa, “La fine dell’innocenza. Utopia, totalitarismo e comunismo”. Perché nella storia politica dal Dopoguerra a oggi, di innocente, almeno dal punto di vista dell’onestà intellettuale, non c’è nessuno. «Il più grande nemico del fascismo» provoca Battista, «fu Churchill, ma nelle manifestazioni anti-fasciste non si vedono mai sue foto; anzi, ora i talebani del progressismo deturpano le sue statue perché lo considerano razzista, visto che l’Inghilterra era colonialista. C’è più fascismo nella cancel culture che in Fdi».

 

 



 

Certa stampa soffia sul fuoco alimentando l’allarme fascismo?
«Se penso al recente titolo di Repubblica “La difesa della razza”, sulla frase del ministro Lollobrigida che parlava di sostituzione etnica o allo “Strage di Stato” della Stampa dopo il naufragio di Cutro...».

Si vuole far cadere la Meloni a mezzo stampa, come già fatto con Berlusconi?
«Non credo ai complotti, molti giornalisti sono condizionati culturalmente e sono portati a vedere il fascismo dappertutto. Comunque, sempre meglio ora di quando il Manifesto cinquant’anni fa, dopo il rogo di Primavalle dove morì bruciato vivo il figlio di otto anni di un proletario missino, titolò “Fiamme tricolori”. Con tutte le migliori firme della sinistra romana e difendere i tre ragazzi borghesi di Potere Operaio che uccisero i fratelli Mattei».

Luigi Manconi sostiene che sugli anni del terrorismo si sia raggiunta una pacificazione nazionale perché la sinistra ha ammso le sue colpe mentre la destra non ha condannato nettamente il fascismo...
«Apprezzo Manconi, garantista a 360 gradi e non ad personam, come troppo spesso la destra. Ma su Primavalle e il terrorismo ha preso una topica. La sinistra non fece mai ammenda, anzi continuò a sostenere che gli assassini fossero innocenti e a parlare di scontri tra fascisti. Mio padre era l’avvocato della famiglia Mattei. Fu un periodo orribile, con le giornate dell’antifascismo militante, che significava che bisognava santificare la festa assaltando una sede del Msi. Poi fortunatamente arrivarono i fantastici anni ’80».

Ma l’antifascismo è nella la nostra Costituzione, come sostiene la Schlein, oppure no, come afferma La Russa?
«La penso come Luca Ricolfi, che proprio a Libero ha detto che la democrazia è una categoria universale della politica mentre l’antifascismo non lo è. E la penso anche come Ernesto Galli della Loggia, secondo cui i conti con il fascismo li regolarono i padri costituenti, che stabilirono addirittura che dopo cinque anni perfino i gerarchi del regime si sarebbero potuti candidare in Parlamento».

Quindi la sinistra è più antifascista oggi che nel 1947, quando c’era il Pci di Togliatti?
«No, solo c’è un grave errore storico e culturale. Il Pci era profondamente antifascista e lo erano anche i partigiani. Ma perché allora il fascismo c’era e loro lo avevano combattuto.
Oggi il fascismo non c’è e l’antifascismo è solo incapacità di accettare che la democrazia è fatta di differenze. Bisognerebbe riconoscere che l’antifascismo non è un valore eterno. Lo è la democrazia».

Gli antifascisti hanno esteso il concetto di fascismo al punto che chiunque non sia del Pd o non la pensi come il Pd è tacciabile di essere fascista?
«Diciamo che la sinistra si considera democratica in quanto antifascista quando invece bisognerebbe essere antifascisti perché democratici, visto che non tutti gli antifascisti sono democratici, altrimenti lo sarebbero anche Stalin e Putin».

Il punto è che la contrapposizione politica oggi non è più tra fascisti e antifascisti?
«Esatto, è tra democrazia e totalitarismi. Io festeggio il 25 aprile non come sconfitta del fascismo ma come ritorno della democrazia.
L’inganno è far credere che la partita fosse a due: fascisti contro comunisti. Invece era a tre, c’erano anche i democratici antifascisti e anticomunisti perché antitotalitari. La sinistra dice che se non ci fosse stata la Resistenza l’Italia sarebbe rimasta fascista, ma si dimentica del contributo degli americani che risalirono la Penisola. Io penso che sia più vero che, se la Dc nel 1948 non avesse battuto il Pci, l’Italia sarebbe riprecipitata nella tirannide, come capitato a Polonia e Ungheria. Una messa al giorno è meglio di una messa al muro, mi diceva Alberto Ronchey».

Anche i partigiani comunisti erano dalla parte sbagliata?
«Sì, e andrebbe ammesso dalla sinistra, anziché perpetuare una visione falsa o distorta. La strage di Porzus non dice niente? Se non fosse stata la parte sbagliata, che senso avrebbero avuto la svolta della Bolognina e l’archiviazione del Pci?.

Ma fu una vera archiviazione?
«Occhetto con la Bolognina nel ’94 non guadagnò un solo voto che non fosse già stato del Pci».

Invece la Meloni ha vinto perché gli elettori hanno creduto alla svolta di Fiuggi fatta da Fini?
«La Meloni è l’erede di Berlusconi, che non fu mai fascista ma fondò un partito democratico».

Questo è revisionismo, direbbero a sinistra...
«La sinistra chiede di non perpetuare le divisioni e poi parla di fascismo eterno. Ma la Meloni deve stare attenta a non darle troppe occasioni di avere ragione».

In che senso?
«Archivi battaglie di retroguardia come come quella sulla difesa delle parole italiane o il no ai matrimoni gay o all’immigrazione tout court. Se va avanti su questa linea, per tenersi qualche bandierina cara all’elettorato più di destra, non riuscirà mai a fare un vero partito conservatore».

Non rischia di rimanere sola?
«No, al massimo di perdere qualche pezzo marginale, ma rinunciabile. Deve aprire il partito. Se parla di lavoro alle donne, vada avanti, non lo metta in contrapposizione con quello degli immigrati. Sono cose impalpabili, ma decisive nell’immagine che dai. Approfitti di avere gli Stati Uniti dalla sua parte, checché ne dica la sinistra».
 

La Russa domani sarà a Praga, a omaggiare Ian Palach, e in un campo di sterminio nazista...
«Rispetto enorme per Ian Palach, ma meglio la seconda scelta. L’antifascismo non è eterno ma invece la battaglia contro l’antisemitismo lo è. L’orrore della Shoah non finirà mai. L’antisemitismo merita una Norimberga eterna e uno dei peccati della sinistra è, da sempre, non sostenere davvero Israele. Da certe parti l’ebreo piace solo morto, non se è vivo e combatte».

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