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Gianni Agnelli e il suicidio del figlio Edoardo: in un libro, rivelazioni clamorose

Roberto Tortora
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“L’essere stato il figlio dell’avvocato Gianni Agnelli non deve essere stato facile. Deve essere stata una tragedia continua, deve essere stata una continua lotta a contrapporre se stessi a un uomo più grande, più importante di te. Un uomo che ti assomigliava, che sembrava come te nel suo modo di essere e nel suo fare, nel suo esprimersi. Che ti sembrava facile nell’imitare, nell’atteggiarsi a come era lui. Ma così non era…”. Questo è l’incipit della prefazione del libro del giornalista Marco Bernardini su Edoardo Agnelli, scritta dal regista Mimmo Calopresti e pubblicata in anteprima da Il Fatto Quotidiano. Bernardini era legato da un’amicizia fraterna con il primogenito dell’Avvocato, che scomparve tragicamente il 15 dicembre del 2000 e la sua breve vita è raccontata dall’amico con l’opera Edoardo. L’intruso tra gli Agnelli, ritratto del rampollo della famiglia più importante d’Italia che non riuscì mai ad imporsi.

A distanza di anni, quello che tutti si chiedono è: “Cosa accadrebbe se Edoardo fosse ancora vivo, ma soprattutto se fosse ancora vivo Giovannino Agnelli, il figlio di Umberto?”. A questa domanda risponde proprio Bernardini, che ha una convinzione ben precisa: “Se Giovanni Agnelli non fosse stato ucciso dal cancro fulminante al fegato, la Fiat sarebbe ancora una storia italiana. E soprattutto sono convinto che anche Edoardo sarebbe vivo. Lo dico perché Giovannino aveva promesso al cugino che, quando lui avrebbe preso il comando come da volontà dell’Avvocato, avrebbe fatto di tutto perché lo stesso Edoardo potesse fare ciò che più desiderava della propria vita: occuparsi del sociale, della resilienza, di un concetto di impresa che tiene conto della solidarietà. Tutte quelle cose che Edoardo si portava dentro e che non era mai riuscito a realizzare per questa assoluta incomunicabilità che esisteva tra lui e il padre. Per l’Avvocato la morte del figlio Edoardo è stata certamente la sconfitta più grande.

 

Una conoscenza, quella tra il giornalista ed il giovane Agnelli, segnata dalla tragedia fin dagli albori, visto che s’incontrarono sulle scale dello spogliatoio dello stadio Heysel, quel nefasto 29 Maggio 1985. “Mi sedetti accanto a lui e cominciammo a parlare della tragedia che avevamo davanti agli occhi. Così nacque la nostra amicizia”, racconta Bernardini che aggiunge: “Due mesi dopo, ad agosto, io ero a Villar Perosa per la classica partita in famiglia della Juventus. Mi dissero: venga su in villa perché c’è Edoardo che la aspetta. Ci incontrammo, e venne fuori un’intervista incredibile, che fece scalpore. Edoardo attraverso di me – spiega lo scrittore - aveva esternato le sue prime dichiarazioni potenti e importanti, sulla Juve e sulla sua visione dell’impero Fiat e del mondo”.

Il giorno più duro, ovviamente, quello del suicidio di Edoardo: “La mia reazione fu quella della disperazione, perché quando perdi un amico... C’è stato un rapporto di quindici anni di amicizia fra noi, ma di amicizia autentica. È stato come perdere una sorta di fratello. No, francamente non me l’aspettavo – confessa Bernardini - e anch’io venni lì per lì assalito da quei dubbi che poi vennero sviluppati da una parte della stampa, fino ai complottismi e alle storie che erano completamente campate in aria”.

 

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