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Chef Rubio, minacce agli israeliani: "Ecco il coltello antisionista"

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Giovanni Sallusti
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Se ne sta lì da ormai cinque giorni, campeggia nell’agorà della democrazia cliccante e condividente, può apparire sullo schermo di ciascuno di noi mentre trasciniamo l’indice indolente facendo altro: un tweet che sarebbe sottoscritto tranquillamente dal dottor Goebbels. “Coltello antisionista con manico in legno d’ulivo”. A corredo due foto di un coltellaccio con doppia lama (da un lato liscia, dall’altro seghettata) e relativo video con guida alla giusta impugnatura, il tutto condito con la bandiera palestinese, per chiarire espressamente quale sia la causa che potrebbe trarre giovamento dal corretto uso del simpatico utensile.

Autore della perla social non è il nuovo capo dell’Isis, bensì Chef Rubio, cuoco dal remoto e dubbio talentino televisivo, che per chiarire il proprio equilibrato approccio alla geopolitica mediorientale sulla biografia del profilo riporta le seguenti riflessioni: “Sionismo=Mafia, Genocidio, Pulizia Etnica, Colonialismo, Apartheid, Razzismo, Fascismo, Suprematismo”. Letto tutto d’un fiato, quasi vien voglia di impugnare l’arnese e arruolarsi volontari nell’Intifada dei Coltelli contro i giudei oppressori.

Essì, perché Chef Rubio cazzeggia oscenamente con l’orrore, indugia compiaciuto nella mitologia terzomondista della lama come riscatto contro lo Stato ebraico occupante, la stessa tetra canzonata suonata dai galantuomini nazislamici di Hamas ogni volta che lanciano ondate di attacchi alle giugulari israeliane. Operazione peraltro avvallata da una buona dozzina di Sure del Corano, ne riportiamo qui una esemplificativa: “Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!” (8:12).

MESSAGGI PERICOLOSI
In ogni caso, poche palle: Chef Rubio pubblicizza sui social un coltello non generalista, non destinato ad affettare insaccati o pelare tuberi, ma con un obiettivo ben preciso, “antisionista”, che è il modo della gente che piace per dire antiebraico. Crea quindi un’associazione tra l’oggetto che lacera e le pelli lacerate, le vite lacerate, le pelli e le vite ebree. Il tutto su un social network dove ogni giorno qualcuno viene sospeso per accenti irrispettosi verso una qualche minoranza, eccessi “sovranisti” a vario e dubbio titolo, banale turpiloquio. Qui non c’è nulla di banale, non ci sono accenti e non ci sono dubbi: c’è il coltello antisemita, l’impatto visivo è più forte di qualsiasi edulcorazione linguistica.

E allora proprio noi, liberali spelacchiati, dobbiamo riconoscere quando ci troviamo in prossimità del paradosso di Popper, del diritto di non tollerare gli intolleranti, di “considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio”.

Il coltellaccio peraltro rimanda a entrambi, alla persecuzione anche nella sua forma-limite dell’assassinio. Quando mai dovrebbero scattare le regole della comunità di Twitter, tra cui si legge quella che mette al bando “le immagini il cui obiettivo è promuovere l’ostilità contro altre persone sulla base di etnia, provenienza, religione...”, se non in questo grottesco caso-limite? Chef Rubio lo sa, e ieri ha tentato la supercazzola giustificativa: “Sono antisionista (quindi antirazzista e antifascista- collegamenti ossimorici, essendo stato il regime piuttosto un nemico del sionismo, ndr-) e faccio l’artigiano, quindi le cose che creo sono antisioniste”. Faccio cose antisioniste, pare il nuovo innocuo passatempo delle anime belle. Mentre “il male sta in chi sostiene i nazisti israeliani” (qui il concetto di ossimoro è issato a vette inesplorate, che ci rifiutiamo di commentare per un minimo rispetto verso noi stessi), “non nell’artigianato palestinese”. Lo dice lui, che il suo è artigianato militante. Lo sa quindi molto meglio di noi, quale uso del suo manufatto farebbero gli amichetti di Hamas e della Jihad Islamica, e quelli che la pensano come loro. Come lui.

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