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Da Canfora alla Di Cesare, la sinistra vuole il diritto d'insulto

Francesco Storace
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Carattere da piagnoni, aspirazione alla licenza d’insulto senza pagare dazio. Ieri si sono esibiti alla federazione della stampa, dove – com’è noto – trovano facile ospitalità i “martiri” del governo. Che poi sono sempre gli stessi, lingua lunga e odio viscerale contro il “nemico”. In ordine di genere, Donatella Di Cesare, professoressa alla Sapienza e orfana di Barbara Balzerani; e poi, seguendo l’alfabeto per non farli offendere, Luciano Canfora, antico, antichissimo, vecchio professore degli errori altrui; Davide Conti, non conosciutissimo scrittore della scuola del Berizzismo; e il magnifico Tomaso Montanari, il rettore dell’università per stranieri che non è ancora espatriato. Costoro, assieme all’immancabile presidente dell’Anpi Pagliarulo – il partigiano classe 1949 che non ha mai visto la guerra se non in televisione – si sono schierati contro le querele ricevute dal governo perle maleparole pronunciate all’indirizzo dell’esecutivo.

Mitica la Di Cesare: «Le denunce del governo sono palesi intimidazioni». Ce l’ha col ministro Lollobrigida, “reo” di averla trascinata in tribunale dopo essersi stufato di ricevere contumelie. Per la professoressa siamo in presenza di «vere e proprie epurazioni che mirano ad emarginare intellettuali che esercitano una critica politica, anche dura». Non si può criticare senza trascendere? Dello stesso parere, manco a dirlo, Montanari, querelato anche lui dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. «Stiamo assistendo a un ribaltamento del costituzionalismo moderno», spiega, «basato sulla tutela di chi non ha forza su chi ha forza. Dobbiamo svegliarci prima che sia troppo tardi». Fantastico anche Canfora: «Mi duole che persone attive nella loro professione di insegnanti vengano trascinate in tribunale (lui dalla Meloni). Voler tappare loro la bocca è ancora più grave perché si tratta di professionisti in costante contatto con i giovani». Ah però. Infine, Davide Conti, che pensava di poter scrivere quello che gli pareva sulla memoria di Pino Rauti ed è stato chiamato a renderne conto dalla figlia Isabella. Immancabile il suo richiamo a «fascismo e antifascismo, ancora centrali nello spazio pubblico» e alla «legittimità del conflitto nello spazio pubblico». Complimenti vivissimi, magari spariamoci pure...

 

 

Ma esattamente, che cosa volevano sostenere i quattro personaggi di ieri mattina con il beneplacito di Fnsi e Anpi? Semplice. È sempre la Di Cesare a dare il via alle danze, come portavoce del quartetto: «Stiamo assistendo a un’“Orbanizzazione” dell'Italia, è una china pericolosa che non può passare sotto silenzio. Si lancia la fatwa contro chi non si vuole più vedere in pubblico». La ascolti e la immagini in cattedra all’università, con gli occhi rosso fuoco. Il governo, con i suoi ministri, non può querelare, dice. Ha dimenticato quando D’Alema pretendeva risarcimenti monstre per le vignette di Forattini... Invece Canfora si può permettere il lusso di definire la premier “neonazista nell’anima”. La Meloni dovrebbe tenersi dentro la rabbia per un’espressione che non ha nulla di veritiero. È solo un modo di offendere e non certo di confutare le idee di chi è considerato un avversario politico da abbattere. Costoro sono “intellettuali”, ovvero personalità che spesso sono a contatto con i giovani, inoculando questo genere di sentimenti verso chi odiano politicamente.

 


È qualcosa di intollerabile, perché non c’è più neppure il coraggio di assumersi la responsabilità di parole violente, di azioni di autentica istigazione verso le istituzioni della Repubblica. In tribunale non ci vogliono andare. Nessuno contesta il diritto di critica, ci mancherebbe. Ma l’insulto continuo e reiterato è davvero ammissibile? È questo ciò che insegnano con parole e scritti ai ragazzi che ascoltano e leggono quanto affermano? È una china preoccupante, la loro e non quella del governo che si difende. Ed è semmai grave che a farsi portatore di questo modo di agire sia la Federazione della stampa, per la quale evidentemente la difesa della reputazione da parte dell’esecutivo non deve avere diritto di cittadinanza. Tutto questo è molto triste.

 

 

 

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