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Saviano, il "martire" snobbato su Rai 3 dai telespettatori

Francesco Specchia
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Forse sarà colpa dei soliti fasci della Rai. O dei terroristi dell’Isis mascherati da immaginari nazisti dell’Illinois che una volta gli impedirono di presenziare in un teatro a Reggio Emilia. O, banalmente, degli spettatori incolti che non sanno apprezzare. Di certo, è colpa di Salvini, da lui amabilmente chiamato «il ministro della mala vita», alla Salvemini. Perché, ammettiamolo. C’è una sorta di nemesi, d’irriconoscenza degli dèi, nell’idea che Roberto Saviano confezioni un programma che perde il confronto diretto degli ascolti non soltanto con le repliche di un film su La7 (che già sarebbe straziante) ma addirittura con un’intervista che il leader della Lega –il nemico ontologico- concedeva sui canali di Berlusconi, un tempo indicato da Robertone come «un uomo che dall’alto del suo strapotere economico è riuscito a convincere, stipendiandoli, eserciti di opinionisti del suo essere un avamposto liberale». Cioè: Salvini su Rete4 straccia Saviano su Raitre. Un catino di nevrosi, roba da farsi esplodere la bile. Eppure è accaduto. La notizia è che, appunto su Raitre, la terza puntata del format di Saviano Insider, Faccia a Faccia con il crimine, è stato visto solo da 653.000 spettatori, col 3.7% di share. Su Rete4, Quarta Repubblica, che ospitava, appunto, Salvini sul processo Open Arms con la sua richiesta di condanna a sei anni– ha totalizzato 848.000 spettatori, col 6.44%. Il doppio del programma di Saviano.

Programma che, costato la bellezza di 200 mila euro a puntata, era stato strombazzato ai quattro venti, elevato a modello di giornalismo, indicato come simbolo di resistenza al nuovo fascismo al potere (quando l’ad Roberto Sergio della Rai l’aveva sospeso, dati gli inesausti attacchi dello scrittore alle istituzioni). Insider avrebbe dovuto essere, insomma, la palingenesi dell’inchiesta televisiva. Saviano come Walter Cronkite. «È possibile trovarsi faccia a faccia con le organizzazioni criminali anche senza farne parte, o senza aver scelto per professione di perseguirle. Come nel caso dei giornalisti minacciati dalle mafie, che lottano con l’unica arma di cui dispongono: la parola. La loro esperienza di coraggio e resilienza è un esempio di come la lotta contro il crimine possa essere condotta anche al di fuori delle Istituzioni» raccontava il prologo al programma, non privo peraltro di qualche spunto interessante. Eppure, nisba.

 

 

 

Saviano già alla seconda puntata era in affanno, inerpicandosi su un asfittico 4%, battuto anche allora da Nicola Porro c(6.6%), da Monica Setta con le Storie di donne al bivio (6.1%) su Rai2 e perfino dalle repliche di In viaggio con Barbero (4.4%) su La7. Alla terza puntata di Insider, l’uomo è sprofondato nell’abisso: 3.7% di share e ben al sotto della media di rete, 5.5%. Ed era partito, nella prima puntata, da 5,2%, occhio: l’emorragia di ascolti, nel suo caso, diventa un fenomeno fisico irreversibile. Ora, il problema non è tanto fare un programma che è un seppuku, un rituale suicida. Il problema è che su questo programma Saviano ci aveva costruito tutta la sua architettura di ribellione al sistema.

 

 

 

ORA E SEMPRE RESISTENZA

Nella nuova Rai “meloniana”, il direttore generale Giampaolo Rossi e l’amministratore delegato Sergio, Saviano se lo erano ritrovati sul groppone. Dopo quattro puntate -anch’esse non indimenticabili- andate in onda nel 2023 e i ripetuti insulti a Salvini e Meloni, e il processo per vilipendio, e il complotto della Buchmesse e i mille rivoli del complesso di persecuzione naturale nutrimento dello scrittore di Gomorra; be’, dopo tutto ciò, la Rai, suo malgrado, ha dovuto per contratto mandare in onda le altre quattro puntate di Insider già girate. Mai pago, il nostro, non solo ha esalato potenti lamenti, ma ha continuato ad accusare la Rai trasformata –secondo lui- nella RSI della cultura italiana.

Oramai Saviano è entrato totalmente nella parte del partigiano catodico, una specie di Pertini con la Resistenza sempre in tasca, ma senza pipa e tecnica di base. E il bello è che, se da un lato l’uomo si aizza contro la tv di Stato, dall’altro tende -per esempio- ad esercitare una pressione che nulla ha d’umano per far pubblicizzare i suoi libri nei programmi di viale Mazzini. In tutti i programmi, indiscriminatamente. Per esempio, leggendario è stato l’imbarazzo degli autori di una trasmissione vaporosa e di puro intrattenimento come La volta buona di Caterina Balivo, nel cercare di piazzare la promozione dei libri di Saviano sulla vita sessuale dei boss o sulle pratiche mafiose del fondamentalismo islamico. Ma sto divagando. Temo che -come dice Saviano- nella «sequenza di prevaricazioni alle quali assistiamo negli ultimi due anni», ci sia, per i telespettatori, tutta la mainconia dei suoi stessi format...

 

 

 

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