McElroy, il "rivoluzionario" che si batte contro i bigotti anti-Islam

L’arcivescovo di Washington accusa la Chiesa di occuparsi poco di questioni ambientali e sociali, compresi i temi Lgbt
di Marco Respintigiovedì 1 maggio 2025
McElroy, il "rivoluzionario" che si batte contro i bigotti anti-Islam
3' di lettura

Come in tutte le cose, anche negli affari ecclesiastici gli Stati Uniti conoscono soltanto il bianco e il nero, con ben poche sfumature intermedie. In conclave siederanno dunque fianco a fianco cardinali statunitensi per i quali la dottrina non si cambia di uno iota, come il 76enne card. Raymond L. Burke o il 75enne card. Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, e revolucionarios per cui tutto è sempre da stravolgere. Nel novero dei secondi figura anche il cardinal Robert W. McElroy, arcivescovo di Washington, la capitale federale.

Il porporato vanta una sua idea forte di islam. Sostiene che negli Stati Uniti il pericolo maggiore venga da quello che chiama «bigottismo anti-islamico», non dalle violenze di cui è bravissimo a macchiarsi l’islamismo. Ma l’aspetto suo più caratteristico è che a leggerlo e ad ascoltarlo sembra spesso di udire gli ordini impartiti dall’ammiraglio della flotta di quei presuli, porporati e non, per cui la Chiesa Cattolica è semplicemente il nome di un’altra ONG.

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Certo, la dottrina sociale della Chiesa è parte integrante del magistero cattolico, quindi non va ignorata, ma non bisogna nemmeno farne una caricatura. È infatti teologia morale, come la qualificava san Giovanni Paolo II sin dall’enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987, e non può essere ridotta a moralismo, buonismo e -ismi così. Il suo emblema più lucido è la parabola del buon samaritano, ma la vicenda descritta in quel passo del Vangelo è di natura eminentemente spirituale e di questo il card. McElroy sembra invece ogni tanto scordarsi. La sua voce risuona così come quella di un riformatore sociale (qualcuno userebbe il sostantivo agitatore), di un sindacalista o di un ghost-writer di proposte di legge per la riforma dell’immigrazione. Le occasioni in cui è sembrato pronunciarsi proprio con quel tono sono quelle in cui ha accusato la Chiesa di occuparsi troppo di aborto e di eutanasia invece che della questione sociale e, rullo di tamburi, dell’ambiente. Per esempio quando prese di mira un documento diffuso nel 2015 dalla Conferenza episcopale statunitense sull’educazione delle coscienze per formare credenti che siano veri cittadini e viceversa. La richiesta avanzata dal card. McElroy di riscrivere il documento per intero mandò su tutte le furie il card. Daniel DiNardo, classe 1949, allora vicepresidente dei vescovi cattolici statunitensi e poi loro presidente, oggi anch’egli elettore in conclave.

Il punto, infatti, non è qui la lista della spesa in cui ognuno mette in cima quel che più gli solletica il palato, ma l’ordine delle cose. Prima ci sono quelli che chiamiamo «princìpi» perché sono assoluti e stanno all’inizio di tutto, poi c’è il resto. Quel che viene dopo lo chiamiamo «valore» perché è relativo e si misura sul gold standard dei princìpi. Se uno cambia e scambia la gerarchia, sovverte la logica, scombina tutto e non combina nulla, ma soprattutto non è adatto a fare il Papa.

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Per il card. McElroy c’è poi anche la costante del sesso, la cartina tornasole del nostro tempo, ma soprattutto la prova del nove per capire chi segue la dottrina cattolica e chino. Ora, non è affare da giornalisti occuparsi di confessionali e stabilire l’ortodossia dei presuli, ma se uno è un principe della Chiesa e chiede alla Chiesa di smettere di essere la Chiesa, il giornalista mette in pagina. Il card. McElroy non concorda con la morale sessuale cattolica e appare molto friendly verso l’attivismo LGBT+. Se facesse il Papa chiederebbe alla Chiesa di non essere più cattolica?

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