La storia dell'Ucraina che servirebbe ai politici

Raccolte in un libro le lezioni che il grande scrittore tenne a San Pietroburgo e che hanno molto da insegnare anche oggi
di Eusebio Ciccottilunedì 2 giugno 2025
La storia dell'Ucraina che servirebbe ai politici
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«F inora non abbiamo avuto una storia completa e soddisfacente della Piccola Russia e del popolo che per quasi quattro secoli ha agito indipendentemente dalla Russia» esordisce Nikolaj Vasil’evic Gogol’ (Ucraina, Nino Aragno Editore; traduzione, introduzione e note a firma dello slavista Lucio Coco). Precisa che tenterà di raccontare come «questa parte (l’Ucraina, ndr) della Russia si è separata; come in essa si è formato questo popolo guerriero, i cosacchi, caratterizzato dalla completa originalità del carattere e delle imprese; come con le armi in mano per tre secoli ha ottenuto i suoi diritti e ha difeso ostinatamente la sua religione; infine, come in maniera impercettibile la sua esistenza guerriera scomparve, trasformandosi in una vita agricola; come a poco a poco l’intero Paese ricevette nuovi diritti in cambio dei precedenti e alla fine si fuse completamente con la Russia». Ora, del grande scrittore di racconti umoristico-sarcastico-surreali, con cani e umani che parlano tra di loro prima di Michail Bulgakov, metamorfosi prima di Franz Kafka, caustiche satire del potere prima di Bohumil Hrabal, non ci saremmo aspettati un sorprendente piccolo libro di storia. Come nacque?

UN ANNO IN CATTEDRA A Gogol’ fu assegnata, come è noto, una cattedra di Storia alla università di San Pietroburgo, non confermata l’anno successivo: gli studenti “dormivano” sui banchi. Eppure, leggendo Ucraina, che ritmo, che svolte, che tuffi stilistici degni delle cascate dello Dnepr! Quando dietro un noioso professore si cela un grande scrittore. «Questa terra, che in seguito ricevette il nome di Ucraina, si estende a nord non oltre i 50° di latitudine ed è più pianeggiante che montuosa. La sua parte settentrionale è inframezzata di foreste che un tempo ospitavano branchi di orsi. La parte meridionale è tutta aperta, tutta steppe, un rigoglio di fertilità. Queste steppe pullulavano di mandrie di saighe, cervi e cavalli selvatici, che vagavano in branchi. Da nord a sud scorre il grande Dnepr. Vicino alle rapide viveva una specie di capra selvatica, il sugak, dalle corna bianche e lucide e dalla lana morbida e satinata». Mentre la Rus’ del centro e del Nord dovette affrontare per secoli l’invasione mongola, la Rus’ meridionale subì «conseguenze dell’occupazione tartara. Città e steppe bruciate, foreste arse, l’antica Kiev in rovina, desolazione e deserti». Gogol’ sta parlando dell’invasione tataro-mongola (XIII secolo) che pose fine a quello che rimaneva del vecchio impero di Kiev di Vladimir il Grande e Yaroslav il Saggio, ormai logorato dalle precedenti interne lotte tra i principi kieviani. Kiev, rasa al suolo, non si riprenderà per secoli. Invece, già sotto i Mongoli, inizia a fiorire, a nord, la città di Mosca. Passata la «prima paura», sotto l’amministrazione tartara, le genti del nord, dalla Lituania, dalla Grande Russia, dalla Polonia, tornarono ad abitare le terre meridionali, mescolandosi ai tartari, come al nord arrivarono le genti finlandesi. Con la differenza che, sempre secondo Gogol’, nel meridione le tradizioni e i costumi si «erano preservati nella loro antica integrità con tutte le loro credenze pagane, i pregiudizi infantili, le canzoni, le fiabe, la mitologia slava, così innocentemente mescolata in loro al cristianesimo. Gli abitanti di un tempo, facendo ritorno nei loro luoghi, portarono con sé persone provenienti da altre terre con cui, grazie alla loro lunga permanenza, avevano stretto legami». Intorno al XIII secolo, e Gogol’ ci tiene a ricordarlo, fanno la comparsa i cosacchi che, dopo le prime scorrerie, si integrano nei piccoli gruppi di abitanti dello Dnper, per difendersi a loro volta dall’avanzare dell’Islam e dalle scorrerie dei sempre presenti tartari dell’Est. Eccoci al Seicento. I cosacchi ucraini si ribellano al dominio polacco-lituano del periodo e fondano l’Etmanato di Ucraina sotto il re Ivan Mazepa, regno che prospera per un lungo periodo. Ma la Grande Guerra del Nord (primi venti anni del Settecento), in cui l’Etmanato si alleò con l’Impero svedese, nel tentativo di liberarsi dal vassallaggio russo, ebbe esito negativo nella nota battaglia di Poltava: l’Etmanato dei cosacchi fu sciolto e i territori ucraini inglobati nell’impero russo di Caterina II. Come sappiano, all’inizio dell’Ottocento, quando Gogol scrive, gran parte della Ucraina attuale, tranne la Galizia, già assegnata all’impero dal austro -ungarico ’700, era inclusa da decenni nell’impero russo. Gogol, naturalmente, offre un percorso storico a volo d’uccello, rigorosamente documentato, in relazione all’accesso alle fonti, privilegiando una corda affettivo-etnografico-antropologica, uno Jean Rouch ante litteram, soffermandosi sul felice amalgama tra etnie, quello che oggi chiamiamo integrazione. Insomma, caparbiamente interessato a schizzare l’anima comune delle genti della Piccola Russia, in un percorso saggistico rinforzato finanche dallo «studio attento delle canzoni popolari ucraine» (Coco). Il risultato di invasioni, guerre di difesa, alleanze, fusioni di genti, formò un «popolo che apparteneva all’Europa per fede e luogo di residenza, ma nel contempo completamente asiatico per stile di vita», un popolo formato da «due elementi diversi: la prudenza europea e la noncuranza asiatica». Chiude la sua ricerca con un passo di sapore biblico, che ben avremmo visto come cartello finale in un film di finzione, firmato (se vivesse) dall’ucraino Jurij Illjenko: «Sembrava che l’esistenza di questo popolo fosse eterna. Non è mai diminuito: coloro che se ne sono andati, che sono stati uccisi e sono morti annegati sono stati sostituiti da nuovi individui». La stile gogoliano, snello, essenziale, attento sia al fatto storico come alla orografia, alla vegetazione, alla fauna, «la geografia definisce molti aspetti della storia», è capace di delicate impennate poetiche come le rapide dello Dnper, trovando felicemente, nella lingua di arrivo, l’italiano, la prosa lirica di Coco, memore di echi landolfiani, apprezzati da generazioni di lettori gogoliani. Nikolaj Vasil'evic Gogol’, nato in Ucraina (nel villaggio di Sorocincy, 275 km ad est di Kiev), aveva studiato, vissuto e lavorato sia a San Pietroburgo che a Mosca (dove è sepolto). Perfettamente bilingue, ucraino/russo. Aveva viaggiato per tutta l’Europa, sino a Costantinopoli, studiando genti e tradizioni.

L’AMORE PER ROMA Elesse come sua seconda città Roma, vivendo in via Sistina numero 112, dal 1838 al 1842, e imparando l’italiano. «I fiori, il profumo della campagna romana mi ricordano quelli della mia terra. A Roma non puoi non diventare artista. Ho conosciuto un vero artista, un poeta popolare, si chiama Belli. Dovreste sentirlo recitare i suoi sonetti in romanesco!». Nikolai Gogol’, esperto dello skaz, l’uso letterario della parlata popolare, non poteva non apprezzare Giuseppe Gioachino Belli che elesse il sonetto in romanesco a raffinata poesia. Due acuti umoristi, sicuramente amati dal “romano” Leone XIV. Se Vladimir Putin leggesse Ucraina e riflettesse sulla vita del “Gogol’ romano”, non solo accetterebbe l’invito di papa Leone, per parlare di pace in Vaticano, ma capirebbe che questo giovane uomo, morto a 42 anni, immenso scrittore e drammaturgo, aveva una idea di Europa che supera quella di tanti presidenti di Stati, parlamentari, commentatori improvvisati. Quando si nasce artisti, quando fastidiosi chiacchieroni.