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Berengo Gardin, addio al "ragazzo con la leica": raccontò l'Italia in bianco e nero

Dal bacio rubato a Venezia agli scatti choc nei manicomi, si sentiva fotoreporter e non artista. Ha immortalato attimi divenuti storici
di Daniele Priorivenerdì 8 agosto 2025
Berengo Gardin, addio al "ragazzo con la leica": raccontò l'Italia in bianco e nero

3' di lettura

Gianni Berengo Gardin dietro la sua macchina fotografica voleva essere solo un testimone. La sua scomparsa, avvenuta ieri, alla veneranda età di 94 anni, lascia una scia di opere importanti. Sguardi, scatti sulla realtà. Non interpretazioni. Anzi, a giudicare dai racconti di chi l’ha conosciuto bene, Berengo Gardin pare detestasse proprio i fotografi artisti, troppo concettuali e troppo presenti nei loro scatti.

«Con Gianni Berengo Gardin perdiamo un maestro indiscusso della fotografia. Un autentico esploratore che ha saputo raccontare l'umano e la natura in tutti gli angoli della terra. Il suo sguardo ha illuminato la storia del Novecento» ha detto il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, tra i primi a commentare la notizia insieme al presidente della Liguria, Marco Bucci che ha sottolineato come la regione perda «un interprete raffinato dell'anima del nostro territorio». Eppure Berengo si definiva e principalmente era un fotoreporter. Sapeva come catturare la realtà. L’unico vero particolare cui era davvero interessato. Un panorama che non può prescindere dall’umanità che resterà sempre la vera protagonista degli spazi, di cui un fotografo non può certo fare a meno. Non è certo un caso che il collega e grande ammiratore di Berengo, Sebastiao Salgado, lo defintì «fotografo dell’uomo».

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Gianni era un uomo di mare. Anzi di due mari. Quello che bagna la Liguria, dove era nato, il 10 ottobre 1930 a S. Margherita Ligure. Poi quella laguna veneziana dove si è formato professionalmente e umanamente e, dagli anni Cinquanta in poi, ha iniziato a raccontare l’Italia e i suoi paesaggi. Ovvero gli italiani e le loro abitudini. Alcune delle quali, senza le foto-testimonianze di Berengo e della sua inseparabile Leica, si sarebbero perse nella immemore memoria della quotidianità. In pochi, infatti, senza i baci rubati, come quello celeberrimo immortalato a Venezia nel 1959 proprio da Berengo Gardin avrebbero ricordato che in quegli anni baciarsi appassionatamente per la strada era addirittura vietato.

«Potevano arrestarti per oltraggio al comune senso del pudore. A Parigi, invece, avevo visto che tutti si baciavano con una libertà incredibile. Così ho cominciato a fotografare i baci a Parigi», ha ricordato il fotografo una decina d’anni fa. «Da quel momento ho continuato a fotografare i baci. L’idea romantica del bacio rubato, mi è rimasta». Non c’è stata, però, solo la tenerezza clandestina al centro dell’obiettivo di Berengo Gardin. Sotto il suo sguardo costantemente in bianco e nero, sono finite le regioni italiane: dalla Calabria alla Sardegna, alla quale il maestro ha dedicato un reportage con fotografie realizzate tra il 1968 e il 2006.

Nel 1969, insieme a Carla Cerati, prese forma la sua opera probabilmente più famosa: Morire di classe, una denuncia per immagini che ha raccontato le terribili condizioni dei manicomi e degli internati. A commissionarla fu lo psichiatra Franco Basagalia. Il reportage illustrava in modo crudo la realtà di quegli istituti ed è stato, in seguito, considerato tra i fattori che concorse all'approvazione della legge Basaglia (1978) grazie alla quale chiusero per sempre i manicomi. E poi L’occhio come mestiere, raccolta di immagini rappresentative del suo stile e della sua visione del mondo. In Un paese vent'anni dopo, realizzato con Cesare Zavattini, ha documenta la vita di un centro abitato italiano a distanza di 20 anni, evidenziando i cambiamenti e le continuità nel tessuto sociale. Il suo approccio alle realtà immortalate restava diretto e autentico, con un'attenzione particolare alla luce naturale, caratteristica che lo vide più volte in polemica con l’utilizzo dei programmi di fotoritocco.

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Gardin è stato anche un grande autore del racconto urbano e paesaggistico. Le grandi collaborazioni giornalistiche che collezionò, a metà anni ’60, lo portarono a Milano. Zingari a Palermo e India dei villaggi, le fotografie dei cantieri di Renzo Piano (dal 1979 al 2012) sono altre opere che hanno lasciato il segno, come l’impegno contro le grandi navi nella laguna di Venezia, un progetto realizzato in collaborazione con il Fai, che lo ha coinvolto fino alla fine.

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