Corrado Formigli è tornato e fa il processo al Tg1

O siamo in presenza di dispute personali (dimensione che per definizione non ci interessa) o del solito tentativo, un po’ scombiccherato, di scegliere un bersaglio a destra da colpire a casaccio
di Daniele Capezzonesabato 13 settembre 2025
Corrado Formigli è tornato e fa il processo al Tg1

(La7, Piazzapulita)

4' di lettura

Direte voi: ma cos’è - al rientro dalle sue lunghe vacanze - che toglie il sonno a Corrado Formigli? Cosa gli pesa sul cuore? Cosa gli avvelena questa fine d’estate? Forse il destino di Israele e Palestina? O la guerra tra Russia e Ucraina? O magari osiamo (...) sperare - anche il brutale assassinio di Charlie Kirk? Parrebbe di no: più di tutto, desumiamo dalla prima puntata di Piazzapulita, giovedì sera su La7, ciò che sembra traumatizzare Formigli è il Tg1 di Gian Marco Chiocci. Ohibò. A onor del vero, in trasmissione, con puntualità, Italo Bocchino fa notare come (dati alla mano dell’Osservatorio di Pavia) al Tg1 risultino garantiti anche più che in passato l’equilibrio delle diverse voci e pure le presenze dei partiti.

Per inciso, visto lo spazio assicurato a Schlein e compagni, non a torto il sindacato di destra della Rai (Unirai) parla più di “Tele-Pd” che di “Tele -Meloni”. Formigli Ma non si dà pace: «Del bilancino di quanto ha parlato Giorgia Meloni o Elly Schlein non ce ne frega niente». Ok Corrado, e allora, di grazia, che vuoi? Formigli sospira e riprende il comizio: gli italiani «si aspettano che il principale tg italiano abbia un ruolo (...) di critica anche del potere, di chi ci governa». Ah ecco: il Tg1 deve far sua la linea di Repubblica o di Domani, par di capire.

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Curioso, però. Quando (citiamo un paio di nomi autorevoli a mero titolo di esempio) il Tg1 è stato diretto da validi professionisti non certo liberalconservatori, da Gad Lerner a Gianni Riotta, non partirono crociate aggressive nei confronti dei governi di centrosinistra. Ma di sicuro ricordiamo male noi. Come pure non risulta che, sotto i governi di centrosinistra, le nomine Rai provenissero direttamente dallo Spirito Santo. Oppure no, a pensarci meglio dev’essere senz’altro andata così: sempre competenti e indipendenti, anzi vergini e martiri, quelli nominati sotto gli esecutivi di sinistra, mentre tutti targati e inquadrati solo i direttori nominati in costanza di governi di centrodestra.

Dai, Corrado: se ci rifletti meglio, viene da ridere anche a te. Tra l’altro, con notevole sportività, in studio c’è Enrico Mentana (per inciso, direttore di un Tg concorrente rispetto a quello di Chiocci) che fa presente come il problema sia il rapporto complessivo tra Rai e politica, mica un singolo tg o uno specifico direttore. Dice infatti Mentana smontando la tesi accusatoria: «Non ho mai visto un Presidente del Consiglio che dicesse: ‘Fanno il direttore del Tg1 e non voglio neanche sapere chi è’». Gioco, partita, incontro. Per la cronaca, Formigli si fa di minuto in minuto più attapirato: Mentana non gli dà soddisfazione, Matteo Renzi non sembra affatto interessato a partecipare al tentativo di lapidazione di un assente, e Bocchino tiene il punto.

Ma dimenticavo il resto dell’impianto del maxiprocesso, tra requisitoria del pubblico ministero Formigli, servizio e dibattito in studio. Qui gli snodi sono almeno due. Primo: l’indispensabile attuazione del Media Freedom Act, norma europea con l’obiettivo di garantire (trattenete le risate) l’indipendenza del servizio pubblico, tema che - presumiamo si ponga improvvisamente solo ora. Prima di questa legislatura, evidentemente, la Rai dev’essere stata una specie di Bbc. Tant’è vero che viene chiamato a testimoniare Roberto Zaccaria: e deve forse trattarsi di un omonimo dello Zaccaria che fu presidente della Rai in quota centrosinistra e poi per tre volte parlamentare di quello stesso schieramento. Lui sì che se ne intende di come si sta alla larga dai partiti! Secondo: la voce raccolta nelle scorse settimane dal Foglio secondo cui Chiocci sarebbe stato sondato per gestire in futuro la comunicazione di Palazzo Chigi, ipotesi rispetto alla quale l’interessato ha fatto sapere un paio di settimane fa di non avere decisioni o novità da annunciare.

Qui Formigli è fuori di sé: «Se un direttore del Tg1 viene chiamato dal governo come portavoce forse non ha raccontato tutti quei fatti, magari anche scomodi, che i cittadini avrebbero il diritto di conoscere». Ora, al di là della cultura del sospetto che indebolisce l’argomentazione (se si hanno accuse da muovere a Chiocci o a chiunque altro, vanno circostanziate, non legate a eventualità o ipotesi non dimostrate), Formigli non può non sapere - nei decenniquante firme e volti della Rai, anche con massime responsabilità giornalistiche o dirigenziali, siano transitate dal servizio pubblico a seggi parlamentari, quasi sempre in area Pd. E’ perfino inutile fare i nomi: tutti li conoscia mo. Ma Formigli ha preso la rincorsa e ormai non si ferma più: mette insieme spezzoni di mail interne alla redazione del Tg1, e però finge di non sapere come non ci sia stata alcuna sollevazione anti-Chiocci, al punto che la stessa proposta di un’assemblea è abortita sul nascere.

Tra l’altro, al di là di ogni altra considerazione, tutti ricordano, un anno fa, l’intervista di Chiocci all’allora ministro Gennaro Sangiuliano: che- come si sa- fu seguita dalle dimissioni dell’interessato, e dunque è un po’ difficile da presentare come la prova di chissà quale atteggiamento pregiudizialmente morbido verso il governo. In altro contesto e in anni precedenti, Chiocci fu protagonista dell’inchiesta sulla casa di Montecarlo, anche in quel caso con una conclusione amara per l’esponente di centrodestra che ne era oggetto, e cioè Gianfranco Fini. Mettiamola così: non si ricordano due casi altrettanto eclatanti in cui Formigli abbia inchiodato due politici di centrosinistra. E allora? O siamo in presenza di dispute personali (dimensione che per definizione non ci interessa) o del solito tentativo, un po’ scombiccherato, di scegliere un bersaglio a destra da colpire a casaccio.

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