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Davide Parenzo sdogana il nonno: fascista è bello se hai il nipote rosso

Pietro Senaldi
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C’è una speranza per tutti. Michela Marzano non aveva capito niente. La scrittrice dichiarò di non aver voluto diventare madre anche perché la scoperta di aver avuto un nonno fascista l’aveva sconvolta. Temeva di trasmettere ai discendenti il gene del male. Sentiva scorrere in vena sangue malato e non ha voluto correre il rischio. Poveretta, vittima di un delirio progressista, dalla cancel culture alla cancel stirpe. Non aveva capito, la raffinata intellettuale, che già al mondo importa poco di cosa pensa lei, figurarsi delle opinioni del suo antenato nel secolo scorso.

 

Ben altra pasta quella di David Parenzo. Pure lui è progressista fin dai primi vagiti. In un’intervista al Corriere della Sera di ieri ha dichiarato che all’età in cui i suoi compagni fischiavano dietro alle ragazze e pensavano solo al pallone lui era già a Belgrado a processare Milosevic per conto della sinistra giovanile, organizzava dibattiti alla Festa dell’Unità e scribacchiava per i comunisti di Liberazione, il giornale diretto da Sandro Curzi, già fondatore di Telekabul. Ebbene anche David, ora in libreria con il suo Ebreo, giudeo, naso adunco (Baldini Castoldi editore) - e faccia di tolla; ndr - per pubblicizzare il suo lavoro ha fatto coming out. Ha confessato pure lui un nonno fascista ma, sarà la scuola di cinismo che frequenta da anni presso Giuseppe Cruciani alla Zanzara, su Radio 24, a differenza della Marzano la parentela non lo turba affatto.

 


 

MODELLO DANNUNZIANO Com’è possibile? Semplice, il multiforme David si è inventato la figura del fascista buono, quello «dannunziano, idealista, nazionalista ma in senso romanesco e, naturalmente, per nulla antisemita», così spiega il nostro. Nonno Sebastiano aveva una moglie che finì nel lager nazista di Bergen Belsen, dove perse padre e sorella, ma ciononostante rimase fascista anche dopo la guerra. Però il vegliardo ha avuto una fortuna, quella di un nipote più rosso di un pomodoro e questo gli è valsa l’amnistia morale, anzi l’assoluzione. «Credeva in quelle cazzate» spiega bonariamente David, che non si risparmia quando in tv c’è da far passare la Meloni e i suoi dirigenti di partito per la reincarnazione delle squadracce fasciste, ma guai a pensare che le piume delle sue piume fossero meno democratiche di Donzelli o della Montaruli.
Quel trascorso fieramente rivendicato anche nel Dopoguerra «era solo un gran dolore per la nonna», fa sapere Parenzo attraverso le parole della madre, perché lui finora non se lo era mai chiesto. Ma che volete che sia, chi in Italia non può vantare un avo in orbace? E poi il nonnetto era incontenibile; «fondò anche una branca della massoneria», svela il giornalista, «ma quella di rito scozzese, antico e riconosciuto».
Anche qui, nel male il bene. Quindi in sintesi non conta chi fosse e cosa abbia fatto il nonno, bensì chi sia e cosa pensa il nipote. Se la progenie è di sinistra, disinvolta, di mentalità aperta al punto da non fare differenze tra Cruciani e la De Gregorio e di trovarsi indifferentemente bene con entrambi, adattandosi all’aria che tira di volta in volta, il nonno è salvo e riscattato. Se invece la discendenza è secchiona, moralista e inibita come la Marzano, la dannazione è perpetua e merita finanche l’estinzione della stirpe.
Perché poi questo nonno era tutt’altro che disprezzabile, fece perfino carriera nelle istituzioni, fino a diventare questore di Cremona, a dimostrazione che la Repubblica metabolizzò le gerarchie littorie senza riluttanza.
È storia. Abbiamo avuto ex dirigenti del fascio alla Corte Costituzionale e perfino tra i padri costituenti e al Colle. Ma se glielo dici quando veste i panni del fiero presentatore progressista in tv, Parenzo strabuzza gli occhi e ti guarda come se sbarcassi da Marte. Salvo poi riconoscere che è parte della sua storia quando deve fare il simpatico per il suo pubblico. Applausi, c’è sempre da imparare... 

 

 

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