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Moda, ecco perché il diavolo si nasconde tra le righe

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Alberto Fraja
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Avreste mai sospettato che le righe, da intendersi come quei segni tracciati su una superficie, quelle porzioni riconducibili a una figura notevolmente allungata, idealmente o realmente delimitata da due bordi paralleli (Devoto Oli) in passato hanno goduto di pessima fama? Non è agevole risalire all’origine di tale, bizzarro stigma. Taluni la rinvengono in una particolare frase biblica del Libro del Levitico in cui si legge: «Non indosserai una veste che sia in due...». Altri ipotizzano che tali connotazioni punitive potrebbero essere cercate tra le pagine della Bibbia laddove si pensi che Caino, Dalila, Saul, Salomé, Giuda erano tutti vestiti a righe e tutti in qualche modo traditori. All’argomento, invero abbastanza insolito, dedica un originalissimo saggio Michael Pastoureau, Righe (Ponte alle Grazie, pp. 144, euro 14), con la traduzione di Claudio Turla, riedizione del bel volume uscito negli anni 90 “La stoffa del diavolo. Una storia delle righe e dei tessuti rigati”.

Spiega Pastoureau come è dai secoli medievali che la dannazione delle strisce comincia ad assumere misure invasive. È in quei decenni che esse assumono le dimensioni dello scandalo, che vengono indicate come un segno di trasgressione. Tanto per dire: i mantelli a righe dei Carmelitani diventano oggetto di riprovazione. Quando nel 1254 l’Ordine dei Monaci Carmelitani si insedia a Parigi, sulle orme di san Luigi da poco tornato dalla Terra Santa, scoppia una polemica sartoriale che durerà addirittura decenni proprio sulla colorazione dei mantelli dei religiosi attraversati allora da righe marroni e bianche oppure bianche e nere. Gli inquisitori non hanno dubbi: quella colorazione fa rima con dannazione quindi riprovazione. Della faccenda si fa carico addirittura papa Alessandro IV il quale impone all’ordine di passare a una veste a tinta unita. I Carmelitani obbediscono e indossano la nota cappa bianca. Con le righe sui propri abiti (o stracci) possono insomma girare impunemente soltanto i reietti: lebbrosi, condannati, reclusi, giullari e boia. Categorie bollate appunto con un marchio di infamia e di disprezzo. Ma perché?

 


DAI DELATORI ALLA RIVOLUZIONE
La spiegazione che l’autore del saggio fornisce, al netto dei rimandi veterotestamentari, prende spunto dalla concezione dello spazio nella raffigurazione medievale. Prendete la pittura: essa, si esprime su diversi piani monocromatici. Ne consegue che l’introduzione delle strisce comporta un disturbo percettivo inaccettabile. Trattasi di questione ottica insomma. Gli abiti “sbarrati” da biasimare sono anche quelli che, in letteratura vengono indossati dai delatori (vedi alla voce Gano, nella Chanson de Roland). Pastoureau cerca di portarci a osservare persino i colori e i disegni dei tessuti con occhi diversi da quelli di oggi e ricordandoci che il concetto stesso di varie tas assumeva posture negative nell’età di mezzo. E questo valeva non solo per i tessuti, ma anche per i manti degli animali: se rigati o maculati, si trattava comunque di belve ingannatrici e/o feroci. Persino la zebra per un certo periodo è stata creduta pericolosa. Il vento cambia a partire dal XVI secolo quando si comincia a dare cittadinanza anche alle righe “buone”: sia a vantaggio di quelle che marcano i vestiti della servitù (spesso a imitazione di una certa moda africana), sia quelle “aristocratiche” o mondane, che trovano un nuovo slancio dal 1755.

La cosiddetta americanofila fa sì che la bandiera a stelle e strisce suggerisca e legittimi una nuo va moda. Così come durante la Rivoluzione francese il tricolore anima una tendenza ad avere almeno un capo di vestiario o un accessorio bianco, blu e rosso. Le strisce conquistano quarti di nobiltà anche nell’araldica. Entrando negli stemmi di famiglie nobili e di corporazioni, diventano emblema di distinzione nella loro infinita combinazione cromatica. La tinta unita cede il passo al maculato, al seminato e, appunto, al rigato. Ma il tempo dei lumi porta novità anche nella moda. Le righe si diffondono fra gli aristocratici ma anche tra i contadini. Non sono più espressione di divisione e di delimitazione sociale.

TRASGRESSIONE
Al climax della popolarità le righe attingono, tuttavia, nell’evo contemporaneo quando assumono via via valore di trasgressione romantica (nel senso di rottura dei codici tradizionali, scapigliatura, ribellione) e diventano portatrici di eleganza fino a evolversi in una versione fortunatissima: le righe marinare. Orizzontali, nel caso degli equipaggi che le sfoggiano bianche e rosse o bianche e blu, e nei costumi da bagno della Belle Époque. Oggi la riga è segno di distinzione e di ritorno all’ordine. Anche se i detenuti non le indossano più. 

 

 

 

 

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