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Renzi s'impegna: "Mille giorni per le riforme. Non sforeremo il 3%"

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Nicoletta Orlandi Posti
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Dal santo patrono all'alta finanza, da Firenze a Bruxelles: in Aula alla Camera, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha attinto alla tradizione popolare della 'sua' Firenze per disegnare l'Europa che sogna e che passa da una «redenzione», quella della finanza e della moneta unica che, ha spiegato, «non basta per condividere un destino». «Oggi si festeggia a Firenze San Giovanni», ha spiegato Renzi aggiungendo il particolare che il Santo è raffigurato con un fiorino in mano. Il perchè è presto detto: Firenze, città che ha 'inventato' le banche, fondava la sua economia sulla fiducia e il peso della parola data nelle transazioni commerciali. Di qui il detto, San Giovanni non vuole inganni. Proprio come l'Italia che «ha la responsabilità di prendere la moneta e dire che non vogliamo inganni». Altolà sui migranti - Uno degli inganni è quello dell'impegno dell'Ue su fronte immigrazione. «Se il dramma degli sbarchi non riguarda l'Ue, tenetevi la vostra moneta e lasciateci i nostri valori», ha tuonato il premier. «Non basta avere una moneta, un presidente in comune, una fonte di finanziamento in comune: o accettiamo un destino e valori in comune o l'Europa perde il suo stesso ruolo». «Un'Europa che spiega come si deve pescare ma poi quando ci sono i cadaveri si volta dall'altra parte, non è degna di chiamarsi Europa di civiltà», prosegue Renzi. Non basta, dice, «l'emozione di un momento» quando i vertici istituzionali Ue vengono a Lampedusa, se «poi il governo viene lasciato solo». Le riforme - Secondo il premier «si è affidato alla moneta il compito di costruire l'Europa. Questo ragionamento non basta: non basta avere una moneta unica per condividere un destino insieme». Ecco allora l'annuncio di una serie di riforme da fare entro 1000 giorni: l'Italia intende presentarsi in questo semestre di presidente dell'Ue con un pacchetto unitario di riforme: «Vogliamo smettere di vivere l'elenco delle raccomandazioni dell'Ue come una lista della spesa, quasi che questo trasformi l'Europa in una vecchia zia noiosa che ci spiega i compiti da fare». «Non dobbiamo farci dettare l'agenda da un agente esterno», ha puntualizzato Renzi, «ma dire che se facciamo le riforme non è perchè ce lo chiedono ma perché le vogliamo. Indichiamo un arco temporale ampio, sul quale sfidiamo il Parlamento: vi proponiamo un arco di tempo quasi triennale, 1.000 giorni, in cui individuare, già entro l'1 settembre 2014, in modo esplicito come cambiare il fisco, lo sblocca Italia, come intervenire dai diritti all'agricoltura, dalla pubblica amministrazione al Welfare, come migliorare il Paese. Un periodo ampio per portare l'Italia a fare l'Italia». Un'Italia, ha sottolineato che andrà in Europa «non con lo spirito di chiedere una poltroncina o un premio di consolazione e nemmeno a sbattere i pugni sul tavolo, ma per cercare di fare politica». Poi Renzi è tornato a parlare del lavoro. «O l'Europa è in grado di assumere la battaglia contro la disoccupazione o non ci sarà alcuna stabilità possibile». E ancora: «L'Italia è uscita dalla depressione economica, ma non dalla crisi. Uscirà dalla crisi se tutti insieme andremo nella stessa direzione». "Non faremo come la Germania" - Durante le comunicazioni nell'aula della Camera in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno e sulle linee programmatiche del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea Renzi ha ricordato «ai profeti, alle vestali del rigorismo che quando l'ultima volta l'Italia guidò il semestre di presidenza Ue, nel 2003 due Paesi chiesero di sforare il 3%, autorizzati: Germania e Francia». «Si può discutere sul tipo di riforme che hanno fatto», ha tuonato Renzi, «ma dico da esterno che la straordinaria stagione di riforme di Schroeder ha consentito di affrontare la crisi di oggi in modo più forte, onore al merito. La grandezza di Noè è aver costruito l'Arca quando ancora non pioveva e la Germania nel 2003 ha scelto riforme molto belle e significative che consentono al Paese di essere fuori dalla crisi». «Noi», ha promesso il premier, «a differenza di quanto fece la Germania nel 2003, vogliamo rispettare il 3%. Noi non chiediamo di violare la regola del 3%».  La maggioranza dell'aula dei Deputati hanno applaudito la fine del discorso. Molti dai banchi dell'opposizione hanno invece preferito uscire.

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