Matteo Renzi, il piano: cerca l'incidente per andare al voto subito
In pubblico la sfotte - anche ieri l'ha chiamata «la sinistra a cui piace perdere e fare perdere» - ma in privato ringrazia che ci sia. E non solo perché il Partito della Nazione ha bisogno di una Cosa rossa alla propria sinistra. Se oggi Matteo Renzi ha una possibilità di andare al voto anticipato, cioè di realizzare il proprio sogno per nulla segreto, è proprio grazie all'area politica rappresentata da Pippo Civati, Nichi Vendola e dagli altri che lavorano per far sì che, al Senato, il governo non abbia più la maggioranza. Delle due riforme, quella elettorale e quella costituzionale, era la prima che interessava al premier: fatta. La seconda, ormai, gli interessa soprattutto come casus belli: se davvero al Senato non ci saranno i numeri per votarla, Renzi avrà un'ottima ragione per chiedere a Sergio Mattarella di sciogliere le Camere. Ipotesi, raccontano i suoi, che lo alletta moltissimo, perché gli permetterebbe di mettere in scena lo schema che più gli piace: lui che si rivolge direttamente agli italiani, presentandosi come l'unica salvezza per il Paese. È anche il motivo per cui Renzi, all'improvviso, è corso a puntellare la traballante Raffaella Paita. Con un blitz ha voluto presentarsi ieri a Genova, per tenere un comizio assieme alla contestatissima vincitrice delle primarie, indagata per la gestione dell'alluvione che travolse il capoluogo a ottobre. Almeno un'altra comparsata da quelle parti il premier dovrebbe farla nei prossimi giorni. La Liguria - è il ragionamento di Renzi - è il laboratorio: se si vince lì, dove il candidato è debole, la sinistra è divisa e il centrodestra marcia incredibilmente unito dietro Giovanni Toti, allora vuol dire che si può tentare un azzardo più grande. La smania di presentarsi al Quirinale per chiedere il ritorno alle urne è anche la ragione per cui Renzi non fa salti di gioia dinanzi all'aiuto che, dopo le Regionali, dovrebbe essergli offerto da otto senatori verdiniani e qualche transfuga grillino. Mani tese dinanzi alle quali nicchia e che gli fanno porre domande importanti. I nuovi acquisti non arriveranno certo gratis, ma esigeranno un prezzo politico: vale la pena di pagarlo? Che danno d'immagine subirà Renzi dal loro ingresso in maggioranza? Come spiegare alla base del Pd che si è fatto andare via Civati per imbarcare Verdini? Imbarazzi che Renzi si risparmierebbe chiamando gli italiani alle urne, se potesse. Due gli ostacoli: il primo, Mattarella, Renzi è convinto di poterlo aggirare appunto in nome della necessità di dare al Paese un Parlamento in grado di approvare le riforme. Il secondo è la legge elettorale. Lo stesso testo dell'Italicum prevede che esso entrerà in vigore solo nel luglio del prossimo anno. Però, come ammette anche il forzista Francesco Paolo Sisto, per il governo «non sarebbe un grosso problema modificare la clausola sull'entrata in vigore della legge elettorale». Ci sarebbe bisogno del voto di Camera e Senato, ma si tratterebbe di soffrire una volta sola, che è sempre meglio di una via crucis lunga sino al 2018. Grazie ai cento capilista bloccati e al premio di maggioranza, la Camera dei deputati che uscirebbe dal voto sarebbe fatta su misura per Renzi: dentro tutti i suoi, rottamati quasi tutti gli altri. E al Senato, sul quale l'Italicum nulla dice? Alcuni dem hanno già proposto di estendere la nuova legge a palazzo Madama, ma è difficile che un simile disegno possa andare in porto. Renzi potrebbe comunque accontentarsi del Consultellum, la legge oggi in vigore. È un proporzionale con soglia di sbarramento all'8% per le liste e al 20% per le coalizioni. Non darebbe al Pd la maggioranza dell'aula, ma dovrebbe andarci vicino. E il giorno dopo il voto, con l'opposizione interna disintegrata e l'aula di Montecitorio controllata da un uomo solo, ci sarebbe la fila per soccorrere il vincitore. A prezzi probabilmente più bassi di quelli di oggi. di Fausto Carioti