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Monti ora abbassa l'asticella:prega per avere più del 10%

Mario Monti

Dopo la disastrosa campagna elettorale, il Prof ha il problema di non sparire. Bastano pochi voti in meno per distruggere i sogni di Palazzo Chigi e Quirinale

Andrea Tempestini
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di Fausto Carioti C'è una barriera superata la quale per Mario Monti tutto diventa possibile, compresa una clamorosa conferma a palazzo Chigi: è la soglia del 10%. È la percentuale richiesta dalla legge elettorale alla coalizione del Professore (Scelta civica, Udc e Fli) per vedere propri candidati eletti alla Camera. Ed è anche l'obiettivo vitale che si è posto il presidente del Consiglio.  Se l'alleanza centrista non raggiungesse questa quota, accadrebbero due cose decisive. La prima è che sarebbero rappresentate a Montecitorio solo le singole liste della coalizione che avessero ottenuto almeno il 4% dei voti. La lista di Monti, Scelta civica, eleggerebbe comunque propri deputati, essendo il 4% alla sua portata. Molto difficile sarebbe invece per l'Udc ottenere lo stesso risultato, e decisamente impossibile per Fli: Gianfranco Fini e la pattuglia futurista, in questo caso, resterebbero fuori dal Parlamento.  La seconda conseguenza del mancato raggiungimento della soglia sarebbe la clamorosa sconfitta politica del premier: il tonfo della coalizione sarebbe tale da rendere vana ogni ambizione di Monti per la premiership o per il Quirinale. La brutta notizia (per il Professore) è che il raggiungimento del 10% da parte dell'alleanza non è affatto scontato. Vista dal suo punto di vista, sarebbe un enorme peccato, la cui colpa ricadrebbe sugli alleati. Perché Monti carte da spendere ne ha ancora: se non presso gli elettori, ai quali ormai ha detto tutto quello che doveva dire, presso le cancellerie internazionali e gli organismi europei, che malgrado le gaffe - come quella su Angela Merkel che avrebbe messo il veto sul Pd al governo - continuano a considerarlo il candidato più utile ai loro scopi. Il possibile exploit di Grillo, paradossalmente, promette a Monti opportunità in più. Un nome su  tutti: grande coalizione. Il Movimento 5 Stelle è diventato il vero incubo degli investitori stranieri, dei governi europei e della stessa Casa Bianca (dove la guerra dichiarata dal comico al radar della marina militare statunitense in Sicilia non è passata inosservata). Il terrore è che i grillini si collochino al di sopra del 20% dei voti. Nei giorni scorsi sia la banca americana JP Morgan sia l'agenzia finanziaria Bloomberg hanno paragonato il Movimento 5 Stelle a Syriza, la coalizione greca che raggruppa la sinistra radicale e che alle ultime elezioni ha ottenuto il 27%: come dire il peggiore dei mali possibili. E dieci giorni fa, nel colloquio con Giorgio Napolitano, Barack Obama ha insistito sulla necessità di evitare che un'Italia instabile politicamente e finanziariamente divenga un focolaio d'infezione per l'intera Europa. Quello stesso giorno, in modo irrituale vista l'imminenza del voto, Napolitano ha tessuto in pubblico le lodi di Monti. Se davvero la valanga grillina dovesse inondare le Camere, il Quirinale e il Parlamento sarebbero chiamati a dare garanzie in tempi rapidi, mettendo in carica un governo dotato di una maggioranza solida e di un programma in sintonia con le richieste europee. A meno di una repentina normalizzazione dei grillini, ci sono buone probabilità che per avere un esecutivo del genere occorra rivolgersi a Silvio Berlusconi e al Pdl. Avere fuori dai giochi sia il movimento del comico che il partito del Cavaliere, accreditati a rappresentare da soli quasi metà degli elettori, sarebbe infatti un lusso difficilmente sopportabile per un governo che avesse la pretesa di durare.  Insomma, più che a un asse Monti-Bersani, che rischierebbe di avere numeri esigui pure assieme a Nichi Vendola, si punterebbe a una riedizione della maggioranza che ha retto il governo Monti. Magari mantenendo in sella lo stesso premier, candidato naturale anche perché avrebbe una posizione centrale nell'alleanza. Un'operazione senza dubbio sfacciata alla luce degli insulti volati tra Monti, Bersani e Berlusconi in queste settimane, ma è vero anche che il giorno dopo le elezioni tra i tre si aprirà una partita tutta nuova. Che potrebbe vedere lo stesso Professore traslocato addirittura sul Colle, altro posto dal quale garantire l'Italia dinanzi alle istituzioni internazionali.  Però, appunto, perché tutto questo sia possibile occorre che Monti ottenga un risultato decente. Superare la soglia del 10% alla Camera e ottenere un numero di senatori che gli consenta di essere decisivo per il prossimo esecutivo è l'obiettivo minimo. Se poi la forza di Grillo e la rimonta di Berlusconi dovessero rimettere Monti al centro della scena politica, tanto meglio per lui. Come ha detto il politologo Roberto D'Alimonte al quotidiano francese Les Echos, «se Monti prendesse il 15% dei voti, potrebbe anche andare al Quirinale». Corre lì, in quei 5 punti, la differenza tra il possibile trionfo del Professore e il suo epico fallimento.

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