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Monti fa ricchi i sindacati a spese degli italiani

Giulio Bucchi
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  di Antonio Castro Una montagna di carta che solo a trasferirla dagli 83 Centri di assistenza fiscale riconosciuti all'Inps si trasforma magicamente in quattrini ballanti e sonanti. Per la precisione ben 161 milioni di euro che l'Istituto di previdenza pubblico riconosce (dati 2012) ai Caf per la compilazione di milioni di pratiche. Il meccanismo è semplice. Il cittadino deve compilare una dichiarazione o certificare un certo reddito (per accedere a sconti e prestazioni sociali). Per farlo ha diverse strade: o rivolgersi all'Inps, o andare in comune (o circoscrizione), oppure bussare in uno dei tanti Caf. Un business milionario - negli ultimi anni lievitato considerevolmente in barba alla crisi -  che gira intorno alla possibilità di ottenere rimborsi fiscali (per dipendenti e pensionati), detrazioni d'imposta o anche sconti ed esenzioni da servizi pubblici. Tra dichiarazioni dei redditi, richieste di esonero dal pagamento della mensa dell'asilo o contributi sociali di varia natura,  gli italiani compilano milioni di domande e moduli. Tutte autocertificazioni che i Caf (onesti) aiutano a compilare per orientarsi in un dedalo normativo che cambia più spesso della biancheria intima. Da anni tutti i sindacati (ma anche alcune confederazioni del lavoro autonomo) hanno intercettato questo filone redditizio e aperto sportelli di consulenza fiscale, tributaria e normativa. In sostanza offrono - in orari possibili e con file meno mostruose - gli stessi servizi dell'Inps o dei Comuni. E per questo servizio lo Stato, o meglio l'Inps, paga un gettone (dai 10 ai 16 euro a pratica) come contributo. In teoria si potrebbe fare tutto ricorrendo ai dipendenti comunali o a quelli dell'Inps, in pratica per convenienza gli italiani prendono appuntamento in un Caf e sbrigano le pratiche necessarie. E fin qui si rientra nella privatizzazione di un servizio pubblico, discutibile, ma tutto sommato efficiente.  Poi ci sono i Caf disonesti, o meglio le società a responsabilità limitata (20mila euro appena di capitale sociale), che capito il meccanismo - “tot pratiche presentate, tot rimborso dall'Inps” - hanno iniziato a inviare richieste di pagamento all'Inps per lo stesso nucleo familiare, per la stessa persona, per diversi anni fiscali, per differenti moduli di richiesta. Ogni dichiarazione prevede un pagamento, e per non sbagliare alcuni hanno presentato due domande, nello stesso giorno, a due Centri diversi, in regioni diverse e magari indicando residenze differenti.  Dal 2008 al 2010 questo meccanismo perverso si è moltiplicato assumendo un volume impressionante. Tanto che alla fine, nel giugno dello scorso anno, se ne sono accorti anche all'Inps. Gli ingordi del rimborso hanno infatti trasmesso in pagamento all'Istituto anche domande di sussidi assistenziali e sociali per quasi trentamila italiani, che incidentalmente risultano passati da tempo a miglior vita.  Tra 15 milioni di pratiche che i Caf svolgono (per un compenso complessivo di oltre 161 milioni), ne sono saltate fuori migliaia taroccate. Fatalità, gran parte delle dichiarazioni presentate provengono da Sicilia, Puglia, Campania e Calabria. L'Inps ha segnalato alla procura della Repubblica l'anomalia di 60mila pratiche “fotocopia” nel 2012. Per tutta risposta il governo Monti ha  rinnovato la convenzione con i Caf facendo lievitare da 110 milioni a 161 milioni il budget per assolvere le pratiche. Un bel miracolo considerando che nel 2008 si spendevano appena 85,9 milioni. Lo scorso giugno, prima del rinnovo milionario, il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua ha anche scritto a Monti e al ministro del Welfare Elsa Fornero (ministero vigilante) per segnalare questa e altre anomali e suggerire di coinvolgere maggiormente (e con minor spese) i Comuni. Monti non ha risposto ancora, Fornero neppure. Con le elezioni di mezzo forse non era il caso di disturbare i sindacati. E i Caf.

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