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Governo Letta, il Pd non mette in gioco i nomi pesanti

Orlando, Letta e Franceschini

In campo per i democratici una lista di sconosciuti, e tutti lontani dai ministeri-chiave. L'esecutivo è debole, e i rossi pronti a scappare

Andrea Tempestini
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  Abbiamo un governo. Un commento arriva anche da Pier Luigi Bersani, che per lunghe e sofferte settimane ha accarezzato il sogno della premiership. Un sogno frustrato dagli insulti dei grillini, segnato da una strategia miope e naufragato sotto i colpi dei franchi tiratori dell'elezione quirinalizia. Bersani, in una nota, dopo la presentazione dei ministri, scrive: "Letta merita il sostegno di tutto il Pd. Pur in condizioni non semplici e con l'esigenza di un compromesso - sottolinea il segretario dimissionario - questo governo ha freschezza e solidità. Saprà affrontare le difficoltà e le sfide che il Paese ha di fronte". Qui Pdl - Poi però prendi in mano la lista dei ministri. Scorri i dicasteri. Vedi che il Pdl, come auspicava Silvio Berlusconi, ha messo in campo alcuni molti da novanta: c'è Gaetano Quagliariello alle Riforme Costituzionali (dicastero chiave), c'è Maurizio Lupi alle Infrastrutture, c'è l'astro nascente Beatrice Lorenzin in un ministero di peso come quello della Sanità, c'è Nunzia De Giorlamo. Ma soprattutto c'è Angelino Alfano: vicepremier e ministro degli Interni.  Qui Pd - Quindi continui a scorrere quella lista dei ministri. Cerchi quelli del Pd. Certo, c'è Enrico Letta, il premier, nome pesante eppure, prima di questi ultimi giorni, tenuto sempre in seconda linea. Quindi i nomi che arrivano da Largo del Nazareno sono quelli di Andrea Orlando, un "giovane turco" piazzato all'Ambiente, e quello di Dario Franceschini, titolare dei Rapporti con il Parlamento, un nome di rilievo, di primo piano, ma che con il suo segretariato (nel 2009) pare aver già dato tutto, o quasi, al Partito democratico. Gli altri nomi? Oltre a Graziano Delrio, Josefa Idem, la Carrozza, Triglia, Kyenge, Bray e Zanonato: tutto, ma non le pedine più importanti di Largo del Nazareno. Le assenze - Più che le presenze, nel Pd, si notano le assenze. Il governo, come voleva il Cavaliere, è di chiara matrice politica (oltre ad alcune eccezioni come quella, pesante, di Saccomanni all'Economia, lo confermano anche la Bonino agli Esteri e i montiani in squadra). In questo governo di chiara matrice politica il Pdl ha messo in gioco alcune delle pedine più importanti che aveva a disposizione. Il Pd non ha fatto altrettanto. Non c'è il tanto chiacchierato (e potentissimo) Massimo D'Alema. Sparita da tutti i radar anche Anna Finocchiaro, per non parlare di due "anime" del partito, come Giuliano Amato e Luciano Violante. Nelle ultime ore si era vociferato anche di un possibile incarico a Pier Luigi Bersani, subito smentito e che infatti non si è concretizzato. Ovviamente in gioco non c'è nemmeno Matteo Renzi, l'uomo che - in teoria - dovrebbe prendere per mano il Pd. Fuori dai giochi (il suo nome, per dovere di cronaca, non si era mai fatto) anche il possibile antagonista di Renzi, Fabrizio Barca. Prospettive temporali - Il Pd, insomma, schiera pedine di secondo piano. Un brutto indizio. L'impressione è che con questo esecutivo, i democratici, ci vogliano andare con i piedi di piombo. O piuttoso l'impressione è che i vertici del Largo del Nazareno credano poco o nulla in un progetto a lungo termine. Bersani parla di "sostegno a Letta di tutto il partito". Il sostegno, però, arriva solo a parole. Gli uomini "migliori", più pesanti, quelli che offrono maggiori garanzie, vengono tenuti sotto coperta. Riparati. Al sicuro. La sensazione è che il Pd abbia mandato al governo qualche pedina - Letta compreso - che potrebbe essere bruciata senza versare troppe lacrime. Le prospettive temporali di questo governo, almeno questa è la prima impressione, per il Pd non sembrano affatto lunghe.  

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