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Assicurazione sanitaria ai deputati e anche ai loro conviventi gay: già ci costa 11 milioni l'anno

Giulio Bucchi
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  di Antonio Castro Certo versano 526 euro al mese che ai comuni mortali (con stipendio normale) possono sembrare tanti, tantissimi. Però hanno il rimborso (quasi) totale degli occhiali, il dentista pagato e le protesi (apparecchi) per sfoggiare sorrisi smaglianti. E poi anche le sedute per “terapie psichiatriche, psicoterapeutiche e psicologiche”, la fisioterapia, le cure termali, le visite specialistiche (compreso il nutrizionista). Non male per deputati e senatori (e da ieri pure dai compagni e dalle compagne dello stesso sesso), che già portano a casa tra emolumento, diaria e rimborsi più di 11mila euro al mese.  Benvenuti nel magico mondo dell'Assistenza sanitaria integrativa di onorevoli, familiari, conviventi more uxorio e pure una manciata di giudici della Corte Costituzionale. Mentre la mannaia della crisi si abbatte sui ticket sanitari dei comuni mortali, mentre c'è chi ha archiviato la visita dal dentista privato per raddrizzare i denti dei figli (e tagli al bilancio familiare), i signori onorevoli hanno pensato bene di allargare ed estendere ai conviventi dello stesso sesso la possibilità di farsi rimborsare visite e interventi dall'Asi.  Per carità, i senatori e i deputati l'assicurazione sanitaria se la pagano. O meglio rinunciano ad una piccola parte dell'emolumento che il Parlamento mensilmente gli versa per garantirsi un'assistenza sanitaria a 5 stelle (Grillo però non c'entra nulla). Complessivamente gli oltre deputati 600 iscritti all'Assicurazione versano al fondo circa 11 milioni. Però ottengono rimborsi per oltre 11 milioni, pareggiando il bilancio con gli avanzi di gestione degli esercizi precedenti. Almeno questo è successo nel 2011 stando al bilancio di quell'anno (ultimo dato aggiornato disponibile).  Se per senatori e deputati l'adesione è praticamente obbligatoria (e conveniente anche fiscalmente visto che le spese mediche ancorché rimborsate possono essere portate in detrazione sui redditi), paradossale il paracadute garantito a chi in Parlamento c'è stato ma non c'è più. Infatti, seppur decaduto dal mandato si è sempre in tempo per chiedere di restare o riaderire all'Asi, pagare una retta (mensile) e poi ottenere i rimborsi spettanti. E si capisce così l'esultanza della ex deputata del Partito democratico Paola Concia, sposata (ma in Germania) con la sua compagna. Se vorrà l'ex parlamentare - paladina dei diritti gay in Parlamento - avrà 3 mesi di tempo dalla fine della legislatura scorsa (14 marzo) per optare per il proseguimento dell'iscrizione all'Asi, estendendo ora il beneficio anche alla compagna tedesca.  La cosa bizzarra è che in qualsiasi ospedale pubblico italiano nessuna coppia omosessuale ha diritto neppure ad assistere il convivente. Né, tantomeno, può portare in detrazione le spese sanitarie pagate per il compagno o la compagna. Tantomeno può attivare una polizza sanitaria privata e sperare di portarla in detrazione sul reddito. Insomma, l'allargamento della platea dei beneficiari dell'assicurazione sanitaria dei parlamentari spalanca ancora di più le differenze tra i comuni mortali e l'esercito dei senatori, deputati, ex, familiari, conviventi e - da ieri - anche quelli dello stesso sesso. Resta da vedere in che misura il Collegio dei questori fisserà il contributo per i nuovi iscritti. Magari sarà prevista una clausola di permanenza di iscrizione (e relativa quota), anche per le coppie omosessuali che si separano. Così come già oggi avviene per i divorziati. O gli eredi degli ex onorevoli defunti...    

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