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Giorgia Meloni a Matteo Salvini: "Sei ancora in tempo, molla Di Maio e grillini. Ecco cosa devi fare dopo"

Giulio Bucchi
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«Mollalo». Gli alleati continuano a fare pressione psicologica su Matteo Salvini. Perché si disfi di Luigi Di Maio. E lasci perdere l' ipotesi di mettere in piedi un governo Lega-Cinquestelle creando inevitabilmente una frattura all' interno del centrodestra. Non appena hanno visto una crepa nelle certezze del «capitano», i soci ci si sono buttati a bomba. La più insistente è Giorgia Meloni. Che, incontrando Di Maio, ha toccato con mano l' inconcludenza grillina. E si è data rapidamente, con la sensazione di aver scansato un fosso. Adesso la leader di Fratelli d' Italia vuole creare un corridoio umanitario per riportare a casa il leader della Lega. Finito ingoiato nel «fantastico mondo» dei pentastellati, tra riunioni fiume, sindrome da accerchiamento («Firmiamo contratti perché non ci fidiamo di nessuno», ha ammesso Giggino) e decisioni, frutto di faticose mediazioni, che finiscono in pasto alla piattaforma Rousseau. Col rischio che vada tutto in vacca. L'incubo - Berlusconi e Meloni hanno capito che Salvini vuole uscire da questo incubo. «Dico a Matteo Salvini che siamo ancora in tempo», dichiara la leader di Fdi, «rifletta se valga la pena lanciarsi in un' avventura con il Movimento Cinque Stelle o piuttosto chiedere un incarico per il centrodestra». Per l' ex ministro della Gioventù la soluzione resta un esecutivo di centrodestra che provi ad allargare il perimetro del suo consenso in Parlamento. Sempre se Mattarella «dovesse tentare di affidare l' incarico a noi». Forza Italia smussa le sfumature polemiche dei giorni scorsi. «Apprezziamo gli sforzi del nostro alleato Matteo Salvini, che prova a dare un governo stabile al Paese restando fedele al programma di centrodestra che abbiamo firmato insieme e che ha contribuito a renderci la coalizione più votata alle elezioni politiche», lo dice Mara Carfagna, vice presidente della Camera e deputata azzurra. «Purtroppo», aggiunge, «questo suo tentativo si scontra, come è evidente, con il dilettantismo e la superficialità del Movimento 5 stelle». Un incontro tra Berlusconi e Salvini, ad Arcore, viene smentito dagli azzurri. E Matteo assicura di pensare con la sua testa, non ha l' auricolare nascosto nel timpano come Ambra di Non è la Rai. Però Fi continua il martellamento mediatico, ripetendo che il matrimonio tra Lega e Cinquestelle è una unione contro natura. «Stiamo parlando dell' ipotesi di sottoporre un programma di governo a poche centinaia di persone che dovrebbero approvarlo o bocciarlo via web, come se la fiducia la concedessero i social, e non il Parlamento», critica Antonio Tajani in un' intervista al Corriere, «credo che Salvini si stia rendendo conto che aveva ragione Berlusconi quando diceva che sarebbe stato difficile fare un governo con il M5S, perché abbiamo diverse visioni della democrazia». Timori azzurri - Il passo indietro del Cavaliere è stata una mossa furba, secondo Mariastella Gelmini. «Ha tolto ogni alibi per favorire la nascita di un esecutivo politico a guida Salvini-Di Maio. Adesso il tentativo di formare un governo tra Lega e Movimento 5 stelle è in una fase di stallo, e tutto ciò, a 71 giorni dal voto, non può che farci preoccupare», dichiara la presidente dei deputati azzurri. «Non abbiamo mai fatto gli uccelli del malaugurio e non inizieremo ora. Forza Italia attende di conoscere l' esito finale delle trattative tra Lega e Movimento 5 Stelle per poi valutare il merito delle proposte», aggiunge la senatrice azzurra Licia Ronzulli. I presupposti finora non sono dei migliori. I cinquestelle vogliono tenersi la leadership e dettare il programma. «Spero che l' arroganza di Di Maio non costringa gli italiani a subire l' aumento dell' Iva», attacca la capogruppo di Fi al Senato Anna Maria Bernini, «sarebbe nefasto per la nostra economia, portando i nostri consumi verso un ulteriore arretramento». riproduzione riservata FABIO RUBINI La scelta di Matteo Salvini di tentare una trattativa col Movimento Cinque Stelle continua a raccogliere pareri discordanti nella base e nella dirigenza leghista. È il caso di Gianni Fava, che nel consiglio federale rappresenta la minoranza del Carroccio: «Credo che il tentativo di Matteo di fare un governo con Di Maio sia corretto - spiega l' ex assessore regionale lombardo - così come è corretto il suo atteggiamento di voler tenere assieme il centrodestra aspettando il via libera di Forza Italia». Quello su cui Fava non concorda, però, è il fine della trattativa: «Secondo me sarebbe sbagliato fare un governo politico di legislatura. Matteo deve fare un accordo che ci consenta di tornare al voto a ottobre e che nel frattempo si faccia garante di due punti fondamentali. Primo: permettere al Parlamento di ratificare l' intesa sull' autonomia raggiunta con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Secondo: correggere la legge elettorale in modo da garantire la governabilità del Paese». Tutto il resto secondo Fava è contro natura: «Lega e Cinquestelle sono troppo distanti. Da un lato c' è la nuova classe dirigente del Nord, dall' altra la nuova classe dirigente del Sud. E sono incompatibili tra loro». Fava lancia anche il nome di un possibile premier di garanzia: «Quel posto spetta di diritto a Giancarlo Giorgetti. Il suo profilo è perfetta garanzia nei confronti del Quirinale, dell' Europa e anche verso i grillini. Salvini faccia un ulteriore passo indietro e lasci il posto a Giorgetti». Chi non la pensa come Fava è un ex ministro della Lega, Giancarlo Pagliarini, che anzi si dice «curioso» e si augura che «il tavolo tecnico riesca a chiudere l' accordo». La curiosità del "Paglia" si è concretizzata in un articolo tutto da leggere che lo stesso ha scritto per il giornale on line atlanticoquotidiano.it dal titolo evocativo "Italia: elezioni del 4 marzo 2043" nel quale l' ex leghista immagina un futuro fatto da un «governo collegiale». Al telefono, invece, Pagliarini ci spiega che un governo Lega-5Stelle «potrebbe scardinare davvero il sistema». E quello che un tempo fu lo stratega economico della Lega Nord di Umberto Bossi, dice la sua anche su uno dei punti più controversi del programma pentastellato: il reddito di cittadinanza. «Così come lo vedono loro, su base nazionale, non va bene. Bisogna ragionare sul concetto di "potere d' acquisto reale". Spiego: i 780 euro che prenderebbe un disoccupato che vive in Calabria avrebbero un potere d' acquisto decisamente superiore rispetto ai 780 euro percepiti da un disoccupato che vive a Milano o a Torino. Per questo - chiude Pagliarini - il reddito di cittadinanza dovrebbe essere erogato su base regionale, con soldi che lo Stato versa alle Regioni. In questo modo i fondi verrebbero spesi con più attenzione. Perché si sa, dove c' è lo Stato, ci sono sempre pasticci». di Salvatore Dama

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