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Decreto sicurezza, la bomba dell'esperto su Salvini e i sindaci: "Perché il ministro non ha certi poteri"

Gino Coala
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Lo scontro tra il ministro dell'Interno Matteo Salvini e i sindaci ribelli al suo decreto Sicurezza rischia di arenarsi nel vicolo cieco di denunce in tribunale, ricorsi e controricorsi dal quale sarà complicato uscirne. Sulla base del diritto amministrativo, di certo nella mani del ministro ci sono molto meno armi di quante si immagini, come ha detto l'avvocato Gianluigi Pellegrino al Fatto quotidiano: "Il ministro dell'Interno non ha legittimazione per ricorrere di volta in volta a un tribunale amministrativo regionale. Salvini ha una sola possibilità di reagire - dice l'esperto - attivare i prefetti affinché diffidino i sindaci a non disattendere la legge". Leggi anche: Decreto sicurezza, Conte tenta la mediazione tra Salvini e sindaci È anche vero però che gli stessi prefetti non possono obbligare i sindaci a rispettare in toto il decreto, ma almeno in capo al Viminale resta una possibilità: minacciare il commissariamento del comune. "Per farlo deve evocare un suo grave malfunzionamento, ammesso che possa davvero essere evocato". Se non ci fossero però le condizioni per il commissariamento: "Sarebbe una dichiarazione di guerra senza precedenti. Mettiamola così - aggiunge Pellegrino - le sole armi che ha sono anche le più fragorose". La contrapposizione tra i sindaci e Salvini di fatto resterebbe solo sul piano politico, finché non venga trovata l'unica strada percorribile: "La modifica della norma. La trattativa politica a mio avviso sarebbe il percorso più ovvio. Del resto i sindaci possono richiamare il discorso di capodanno del Presidente della Repubbloica che ha inviato a maggiore solidarietà e coesione sociale".

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