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Virginia Raggi, il capolavoro: Roma sta per fallire. Poi... uno scenario clamoroso

Davide Locano
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Il problema - come diceva Benjamin Franklin - non è che Virginia Raggi abbia mancato la prova, è solo che ha trovato cento modi per farla sbagliata. Parliamoci chiaro, cara Raggi: comprendiamo il suo incubo, è impossibile che Roma si salvi da sè stessa, che la si strappi alla sua palude di corruttele, imperizie, lassismo. Ma. Ma se, invece di lottare per impedirne il fallimento, si decidesse, per una volta, di farla fallire in un rogo purificatore che metta tutti davanti alle loro responsabilità? Ci spieghiamo. Il ciclopico debito storico della Capitale - 12 miliardi, quanto quasi la somma di quelli delle altre città metropolitane - non l' ha prodotto la sindaca, ci mancherebbe. Tutte le amministrazioni precedenti dal 1960, anno delle Olimpiadi, sono colpevoli. E ci hanno marciato scaricando sul governo successivo. Dieci anni fa per togliere Roma dalla palta si commissariò il debito e non la città: 13 miliardi interessi compresi, che pagano ancora gli italiani. E, certo, oggi, cara Raggi, sono cavoli, con Salvini che di fatto impedisce di trasferire allo Stato gran parte del debito della città, avendo stroncato il "Salva-Roma" cassato in ben 5 dei 7 commi che costituivano l' ossatura dell' art.38 del decreto Crescita. LA PROPOSTA Epperò, lei potrebbe spiazzare tutti, raccogliendo la modesta proposta dell' economista Fulvio Coltorti già direttore del centro studi e ricerche di Mediobanca. E cioè: 1) lasciare fallire il Comune e soddisfare i creditori con i beni patrimoniali, vendendo gli immobili molti dei quali abbandonati o occupati abusivamente. «Tra gli attivi da liquidare si includerebbero i crediti (non riscossi) per condoni e multe, con le partecipazioni e i canoni di affitto fuori mercato»; 2) perseguire gli amministratori locali che hanno generato il debito, con azioni di responsabilità e condannarli a partecipare personalmente alla risoluzione del dissesto. Prima di far nascere un' altra Mafia capitale, i politici ci penseranno; 3) stessa azione di responsabilità diretta verso quelle banche che allegramente hanno sostenuto il disastro; 4) dopo il fallimento affidare la gestione ad una "terna commissariale" per «sistemare le strade, pulirle e bonificarle, preparando un programma di rinascita e riorganizzazione di tutti i servizi locali». Coltorti suggerisce di trovare un meccanismo giuridico che impedisca ai creditori di rivalersi sullo Stato centrale. Aggiungiamo che le stesse regole vengano disposte verso tutte le amministrazioni in dissesto; dato che, se si facesse come astutamente suggerisce Salvini - «Salviamo anche Alessandria, Genova, Catania, ecc.» -, andrebbe in default il resto del Paese. E, tanto per parlarci chiaro, non è una prescrizione medica fare il sindaco: se non sei capace o lasci, o ne sopporti le conseguenze. Leggi anche: Di Maio scarica la Raggi: una frase per umiliarla Sì, lo so, cara sindaca, l' eccezione è la solita, recitata a mantra: Roma è troppo grossa per fallire, se accadesse sarebbe l' apocalisse. Ma no. Roma, con i suoi mille anni di picchi e abissi, non cesserà di esistere per un dissesto (non può farlo per legge). In Usa dissero lo stesso dalla città di Detroit: ma nel luglio 2013, gravata da un debito di 18 miliardi di dollari, dichiarò fallimento. Si smise di sovvenzionarla e la municipalità attuò un piano di cessione di immobili, rinegoziazione dei debiti e tagli di paghe e pensioni dei dipendenti che la fecero uscire dall' insolvenza. In un anno. RIPARTIRE Ok, a Roma Capitale, magari, ci vorrà un po' di più, dati gli oltre 24mila dipendenti (l' anno scorso hanno ricevuto bonus e premi produttività per quasi 45 milioni di euro, nonostante i servizi continuino a non essere quelli scandinavi); ma, insomma, se po' fa. Il dissesto non è la fine di tutto. Anzi. Se si compulsa il Testo Unico sull' ordinamento locale, forse potrebbe essere un inizio. Il Comune in default può ripartire libero non solo dei crediti, ma dei debiti. Tutto ciò che concerne il "pregresso" viene estrapolato dal bilancio comunale e trasferito alla gestione straordinaria che si occupa della liquidazione con competenza «su tutti i debiti correlati alla gestione entro il 31/12 dell' anno precedente a quello dell' ipotesi di bilancio riequilibrato, anche se venissero accertati successivamente». E, cara Raggi, potrebbe dare perfino la colpa a Salvini, dato che «nel momento in cui viene dichiarato il dissesto del comune, sindaco, giunta e consiglio resterebbero in carica ma verrebbero coadiuvati da una commissione espressamente designata dal Ministero degli Interni». ESUBERI La commissione si occuperebbe del disavanzo pregresso, mentre l' amministrazione gestirebbe il bilancio "risanato"; quindi - allora sì - il disavanzo storico non sarebbe più un problema per la sindaca. In caso di dissesto, il Comune è tenuto a «contenere le spese» specie il «personale»: la legge prevede che gli impiegati comunali siano nella misura di 1 su 93, pertanto da questa procedura scaturiranno esuberi di personale che verrà posto in mobilità, e, come una qualsiasi azienda che non produce, si rifà la pianta organica di 24mila potenziali elettori (mi rendo conto che toccare Ama è fastidioso, e Atac ha assunto ancora 200 persone). Altri vantaggi? I proventi delle concessioni edilizie devono assicurare la «copertura integrale dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani»; e così, senza soldi, si risolverebbe anche il problema del nuovo stadio. In più, gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto nei 5 anni precedenti saranno puniti. E i debiti cristallizzati: no interessi, no rivalutazione, blocco delle esecuzioni in corso, pignoramenti inefficaci nei confronti dell' ente. Naturalmente ci sarebbero anche i contro. Essenzialmente lacrime e sangue tributarie: «Aumento di imposte, tasse e canoni patrimoniali nelle misura massima», con riflessi su trasporti pubblici, gestione degli asili, buche ecc. Ma trasporti pubblici, asili e buche, ecc sono, di fatto, già un' abitudine, per i romani che pagano l' addizionale Irpef a 0,90%, la più alta d' Italia. In fin dei conti, cara Raggi, oggi il default sarebbe soprattutto il danno d' immagine, l' enorme figura di melma che Roma farebbe di fronte al mondo. Ma, provocazione o meno, potrebbe esserne anche la palingenesi riproduzione riservata. di Francesco Specchia

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