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Gianfranco Fini e la maledizione del presidente della Camera: Roberto Fico finirà come lui?

Davide Locano
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C'è una specie di maledizione di Montezuma che colpisce chi mette piede sullo scranno più alto di Montecitorio: chiunque ricopra quella carica diventa una caricatura e spesso fa una cattiva fine politica. È una maledizione che ormai dura da 25 anni e da sette legislature e copre Seconda e Terza Repubblica. Da essa non pare immune l' attuale primo inquilino della Camera, Roberto Fico, colui che voleva dedicare la Festa della Repubblica a rom, sinti e migranti ma che ora rischia di subire la loro stessa sorte, finendo a spasso, da nomade della politica senza fissa dimora. Dovesse cadere il governo e dovessero esserci nuove elezioni, il presidente della Camera sarebbe il primo a subire un depotenziamento non solo a livello istituzionale ma nello stesso Movimento, dato che le sue posizioni e affermazioni vengono viste con disappunto ormai pure da Di Maio e dalla base del partito. Lui, l' ortodosso pentastellato, il più fedele ai principi originari dei 5 Stelle, viene percepito quasi come un eretico. Uno che fa perdere voti e credibilità, in una fase in cui entrambi latitano non poco per il Movimento. Leggi anche: Feltri su Toninelli e Fico: perché il popolo non li sopporta Vorremmo dire che è solo colpa sua, del suo aver trasformato una sede istituzionale in un fortino ideologico dove fare politica a sinistra, del suo voler essere a prescindere bastian contrario di Salvini, barba napoletana contro barba milanese, del suo fraintendere le feste rosse sul calendario, dal 25 aprile al 2 giugno, come feste dei rossi, e rendere i riti civili occasioni di guerra civile, tra pugni chiusi e dediche ai cittadini rom anziché romani (SPQR per lui è acronimo di Senatus Populusque Rom). Tuttavia dobbiamo riconoscere che la responsabilità non è soltanto della sua persona, delle sue convinzioni e discutibili qualità politiche, ma anche del ruolo istituzionale che ricopre e che quest' anno compie le nozze d' argento della Sfiga. BRUTTE FIGURE IN SERIE Ai tempi della Prima Repubblica chi assurgeva all' incarico di presidente della Camera prima o poi diventava capo dello Stato: Montecitorio era una sorta di viatico, di anticamera per il Quirinale. Basti pensare a Saragat, Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro e Napolitano, tutti passati dalla stessa trafila, da medaglia di bronzo a medaglia d' oro, da terze a prime cariche dello Stato. I terzi saranno i primi. Poi però qualcosa deve essere cambiato, forse i nuovi equilibri della Seconda Repubblica, quel bipolarismo muscolare che impediva che il presidente della Camera, espressione di un partito, diventasse presidente di tutti; forse la diversa statura politica e intellettuale degli interessati. Fatto sta che, dalla Pivetti in poi, occupare la poltrona più alta di Montecitorio è diventata quasi una condanna. Sia per i personaggi che ci sono finiti sia per chi li ha sistemati lì, credendo così di renderli inoffensivi e ritrovandosi invece una brutta gatta da pelare. Su sette presidenti della Camera, a partire dal '94, in quattro sono praticamente scomparsi dalla scena politica (Pivetti, Violante, Bertinotti, Fini); gli altri due (Casini e Boldrini) occupano ormai posizioni residuali, rappresentando partiti che valgono percentuali da prefisso telefonico. Resta appunto Fico, e non sembra passarsela benissimo. Il problema è che, pur essendo terza carica dello Stato, la presidenza della Camera ha perso da tempo il suo ruolo di terzietà: Bertinotti ne ha fatto un fortino anti-Prodi, contribuendo alla caduta del suo governo ma anche alla propria rottamazione; Fini l' ha trasformato in un avamposto anti-Berlusconi, facendo harakiri: perché chi di Montecitorio ferisce di Montecarlo perisce; Boldrini ha creduto di renderlo l' ultimo feudo della sinistra comunista, de-comunistizzata da Renzi: è vero, Matteo non ha retto, ma anche Laura si è autoeliminata; e quindi c' è Fico che fa il controcanto a Salvini, a Di Maio, se possibile a Conte, sentendosi il quarto incomodo escluso dal terzetto di testa, e desideroso di salire sul podio, a costo di farlo rovesciare, il podio. CARICA IDEOLOGICA A ciò si aggiunga la spiccata matrice ideologica della carica nelle ultime due legislature: tra Boldrini e Fico, Montecitorio è divenuto Camera rossa e rumorosa, altro che aula sorda e grigia, tempio del Politicamente Corretto, luogo ideale di ritrovo di clandestini, rom, migranti e camminanti. Fosse per quei due, il Parlamento dovrebbe trasformarsi in un grande centro di accoglienza. Lo chiamano Transatlantico ma per Laura&Roby sarebbe meglio definirlo Barcone Il punto però è che, facendo la fronda al governo o addirittura tradendo, tutti costoro si sono fregati con le loro stesse mani. Volevano fare i rivoluzionari dentro il Palazzo, sono finiti vittime della loro Rivoluzione. E così la Camera, da anticamera per il Quirinale, si è ridotta ad anticamera per la pensione. Anche Fico insomma si prepari: presto diventerà un Fico secco. di Gianluca Veneziani

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