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Pierferdinando Casini, l'uomo chiave della maggioranza: numeri alla mano, cespugli decisivi

Giulio Bucchi
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Più che delle poltrone, Pd e M5S farebbero bene a preoccuparsi del pallottoliere. I numeri, infatti, sono impietosi. E certificano che, da soli, democratici e pentastellati non hanno la forza per dar vita a un governo giallorosso. Per far tornare i conti sarà necessario rivolgersi ai "cespugli", i piccoli partiti "nascosti" nel gruppo misto e in quello delle autonomie. Cosa che, però, renderebbe la maggioranza molto più ballerina. Il problema, come sempre, è il Senato, aula dove è più difficile ottenere la fiducia. Vediamo la situazione nel dettaglio. Il principale gruppo di Palazzo Madama è quello del Movimento Cinque Stelle, composto da 107 senatori. Ma ieri Gianluigi Paragone ha fatto sapere che, «per coerenza», non sosterrà l' inciucio. E così si scende già a 106. Il Partito democratico porta in dote 51 voti, che fanno arrivare il conto a quota 157. E qui iniziano i guai. Perché per avere la maggioranza bisogna ottenerne almeno 161. Pd e Cinque Stelle, da soli, non ce la fanno. E allora? E allora, come detto, bisognerà rivolgersi ai "cespugli". In primo luogo a quelli che compongono il gruppo misto. Qui, in particolare, ci sono quattro senatori di Leu (guidati da Pietro Grasso), più che disponibili a far parte di un esecutivo anti-Salvini. Con loro si arriva alla famigerata quota 161, ma per un governo che vuole durare fino alla fine della legislatura non è ancora abbastanza, anche perché non è detto che tra i grillini l' unica defezione sia quella di Paragone (si parla di una decina di senatori pronti a "sganciarsi"). Così sarà necessario cercare l' appoggio anche degli altri componenti del gruppo misto. Emma Bonino, dopo le consultazioni di ieri al Quirinale, ha detto che «+Europa non ritiene di poter garantire il sostegno a un governo di cui non conosciamo niente». Porta semi-chiusa, insomma. Restano Riccardo Nencini del Psi, cinque fuoriusciti del M5S e due esponenti del Movimento Associativo Italiani all' Estero. Pierferdinando c'è - Esaurito il gruppo misto, la nuova maggioranza potrebbe pescare qualcosa pure nel gruppo per le Autonomie. Qui, tra l' altro, troviamo Pier Ferdinando Casini, che si può considerare giallorosso ad honorem. C' era anche lui, infatti, tra quelli che hanno invitato il leader del Pd, Nicola Zingaretti, a far cadere il suo veto su Conte. «È sbagliata», ha spiegato, «la pregiudiziale contro il presidente del Consiglio dimissionario. Conte ha gestito una formula politica sostanzialmente ingestibile e l' ha fatto per senso di responsabilità verso il Movimento e verso il Paese. Non si può dimenticare che per due volte ha evitato la procedura d' infrazione contro l' Italia». «Conte non è De Gasperi», ha aggiunto, «del resto di De Gasperi in circolazione non ne vedo molti, ma è una persona che ha dimostrato serietà, capacità e ragionevolezza». Insomma, Pier Ferdinando c' è. TRATTATIVE Meno scontato, invece, l' appoggio dei tre senatori dell' Svp. Dopo il primo colloquio con Mattarella, Julia Unterberger ha comunicato che «l' orientamento prevalente all' interno del partito è quello dell' astensione». E Philipp Achammer, segretario politico della Svp, ha precisato: «Siamo favorevoli ad un governo tecnico, non a uno formato da Movimento Cinque Stelle e Pd». Tirando le somme, l' esecutivo giallorosso potrebbe arrivare intorno ai 175 voti a favore (contando anche sull' eventuale aiuto dei senatori a vita). Abbastanza, ma bisogna vedere quanto sarà consistente la fronda grillina. E comunque i pentastellati dovranno rassegnarsi al fatto che trattare coi dem (cosa già di per sé complicata, come stiamo vedendo in questi giorni) non sarà sufficiente. Poi bisognerà convincere i vari Grasso, Casini, Nencini... in bocca al lupo... di Alberto Busacca

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