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Stefano Bonaccini imbarazzato dal suo Pd: sui social scompaiono i simboli

Davide Locano
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A vederlo così, con quella barba brizzolata portata a metà tra Lenin e Lincoln, testa rasata, fisico da ex bagnino della riviera e sguardo da duro incorniciato dall' occhiale da vista sottile all' ultima moda, Stefano Bonaccini sembra il ritratto della sicurezza, l' uomo che non deve chiedere mai, per citare un vecchio spot tv. E invece, terrorizzato dall' idea di perdere la sfida elettorale in Emilia-Romagna contro la leghista Lucia Borgonzoni, negli ultimi giorni il governatore Dem ha cominciato a prendere le distanze da tutto ciò che va facendo e dicendo il proprio partito, il Pd. Bonaccini non ha più le certezze di un tempo. D' improvviso non considera più una priorità lo ius soli rilanciato dal suo capo Zingaretti, ha accantonato la strenua difesa dell' immigrazione di massa, non una parola sulle cooperative rosse, si batte contro la tassa sulla plastica fortemente voluta dai "compagni", gabella che infliggerebbe un duro colpo all' economia regionale. Ieri poi il governatore democratico è tornato a parlare anche dello scandalo di Bibbiano sostenendo, a differenza di quanto fatto un paio di settimane fa dalla commissione tecnica da lui nominata, che non si è trattato di un semplice «raffreddore», e che per gli eventuali colpevoli pretende punizioni esemplari. Leggi anche: Dalla Borgonzoni, colpo da ko in diretta contro Bonaccini Ce lo auguriamo anche noi di cuore. Bonaccini, comunque, ha tenuto a precisare: «Sotto inchiesta ci sono persone che hanno un nome e un cognome, e fatti, gravissimi se confermati, molto circostanziati, non la Regione. Che, anzi, si costituirà parte civile per la tutela di tutti i minori». Ormai, più per convenienza che per reale convincimento - non ci vuole certo un fine politologo per comprenderlo - Bonaccini rinnega a tal punto il suo stesso partito da averne tolto ogni traccia dal proprio sito e dai profili social. Non ci credete? È sufficiente dare un' occhiata a Facebook, Twitter e Instagram: su centinaia di foto ne abbiamo trovata soltanto una in cui compare il simbolo del Pd. È datata 20 ottobre 2019, la cornice è quella della Festa dell' Unità di Bagnolo, nel Reggiano - dove non essere immortalati tra le bandiere del Partito democratico sarebbe stata un' impresa titanica - e peraltro a giudicare dalla qualità dubitiamo che a scattarla sia stata una persona del suo staff. Qualcuno, evidentemente, si è dimenticato di rimuoverla dalla pagina: immaginiamo che Bonaccini non ne fosse al corrente e dunque prevediamo una tirata d' orecchie per il responsabile. Ma tant' è. Il Bruce Willis di Campogalliano, soprannome datogli da Renzi durante la campagna elettorale per le regionali del 2014, da qui al 26 gennaio spera di riuscire ad affrancarsi il più possibile dal partito, simulando un civismo che non gli appartiene per nulla, essendo nato e cresciuto sempre nelle file degli schieramenti della sinistra. E però i tempi richiedono questo. Più che a Zingaretti, a Boccia e al resto della tragicomica combriccola Dem che siede al governo, Bonaccini si sta affidando sempre più ai giovanotti delle "sardine", per contrastare lo strapotere mediatico di Salvini e cambiare la narrazione della propria ricandidatura. "Sardine" che, guarda caso, durante le manifestazioni non espongono i vessilli del Pd pur essendo vicinissime - qualcuno sostiene teleguidate - dal Pd emiliano-romagnolo. Mattia Santori, lo ricordiamo, il giovane fondatore bolognese di questo bizzarro movimento e ambitissimo dai talkshow progressisti, è tra i redattori della rivista "Energia", legatissima alla sinistra. «C' è bisogno di gente che non si rassegni alla vittoria della Lega», ripete da giorni il governatore uscente per elogiare le esibizioni delle "sardine", talmente democratiche che tra loro c' è chi invoca pubblicamente l' omicidio di Salvini. Insomma: Bonaccini disconosce il Pd. E dunque, non vediamo come potrebbe essere altrimenti, farà lo stesso anche coi Cinque Stelle - che pur ha corteggiato a lungo e affannosamente - in caso di loro appoggio. In barba alla coerenza. di Alessandro Gonzato

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