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Renzo Bossi: "Io perseguitato dai cronisti del Fatto Quotidiano, vogliono uccidere la Lega"

Davide Locano
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«Qui mi vogliono fregare. Sono stato assolto da ogni accusa, da otto anni sono fuori dalla politica e sto cercando di ricostruirmi una vita come imprenditore insieme a mio fratello, eppure i giornalisti non mi lasciano in pace. Mi telefonano, me li ritrovo sotto casa, mi intimidiscono. Sono convinti che voglia far rientrare in Italia i famosi 49 milioni di rimborsi della Lega Nord, ma quei soldi io non li ho mai visti, erano tutti sul conto del partito quando mio padre ha lasciato la segreteria. Sono stati spesi nel tempo, per le esigenze della Lega, come è giusto che fosse, ma quando io ormai ero fuori dal giro. È tutto documentato». Renzo Bossi decide di giocare d'anticipo. Il figlio del Senatur, ex consigliere regionale in Lombardia, è spaventato e si è presentato ieri alla sede di Libero. «Si sono inventati una storia e vogliono farmela scoppiare in faccia, ma io ho la coscienza a posto, non ho fatto nulla e ho deciso di giocare d' anticipo. Ci ho impiegato otto anni per difendermi dall' accusa di appropriazione indebita di 150mila euro di rimborsi elettorali della Lega e ora che ce l' ho fatta voglio stare tranquillo, anche perché per provare che sono innocente ho speso 60mila euro in avvocati». Cosa è successo? «Mi sono trovato due giornalisti del Fatto sotto casa. Mi hanno detto che avevano delle carte su di me, ma non hanno nulla, parlavano per farmi cadere in contraddizione». Di cosa la accusano? «Di essere in affari con l' ex tesoriere della Lega, Belsito, e di organizzare con lui strani traffici dall' Africa». È vero? «Per sette anni non ho mai parlato con Belsito. Il giorno della mia sentenza d' assoluzione abbiamo fatto cinque ore di sala d' aspetto insieme e abbiamo fatto due chiacchiere. Mi ha chiesto cosa facevo nella vita e gli ho risposto che ho un' azienda agricola, produco salumi e formaggi e mi occupo di sviluppare progetti di export in tutto il mondo, sempre nel settore agroalimentare». E Belsito cosa disse? «Che anche lui era nel settore e poteva mettermi in contatto con imprenditori che sarebbero potuti diventare miei futuri clienti. Poi però il favore me lo ha chiesto lui». Cosa le chiese in particolare? «Successivamente a questo incontro Belsito mi contattò varie volte per presentarmi diversi imprenditori e per sottopormi dei prodotti per l' export, dal parmigiano reggiano in Italia al rame dal Congo. Poi mi chiese se fosse possibile fargli avere un preventivo per trasportare della merce per un museo della Costa d' Avorio in Turchia e mi mostrò tutta la documentazione timbrata e vidimata dalle autorità locali, sulla base della quale io gli presentai vari preventivi. Si trattava di maschere africane e alla fine si optò per uno spedizioniere russo». Un traffico curioso quello di opere d' arte dalla Costa d' Avorio in Turchia, per di più via Russia, non trova? «Dei traffici di Belsito non so nulla. Quanto alla Russia, io ho delle conoscenze laggiù perché sto cercando di espandere i miei affari e mi sono limitato a metterlo in contatto con chi poteva curare la sua spedizione». Una consulenza gratuita? «Non ho preso soldi, anche perché la spedizione non si è mai fatta». Anche lei in Russia: certo che quel Paese è una maledizione per la Lega. Che ci faceva? «Proprio in quel periodo, come noto anche dalle pubblicazioni quotidiane sui miei social, viaggiavo spesso in Russia perché seguivo lo sviluppo di un nuovo progetto per la creazione di un caseificio industriale in Cecenia, la regione più a Sud del Paese. Mentre mi trovavo in Russia per lavoro feci degli incontri per capire quanto poteva costare il trasporto della merce proveniente dal museo con un cargo russo. Belsito, valutate le offerte economiche, decide di proseguire con il soggetto russo». Di che cifra stiamo parlando? «Cento-centoventimila euro». E com' è finita con le maschere ivoriane? «Direi che Belsito mi ha messo in imbarazzo con la società russa, tant' è che nel luglio scorso, dietro richiesta degli spedizionieri, che non avevano più avuto riscontri, abbiamo avuto un incontro chiarificatore a Istanbul, dove io mi sono arrabbiato con l' ex tesoriere. Da allora non ne ho saputo più nulla, fino a quando mi sono trovato i giornalisti sotto casa». Ma lei perché è rientrato in contatto con Belsito, anziché fuggirlo come la peste? «Per carineria». Come carineria, Belsito ha fatto male alla Lega, non ce l' ha con lui? «Otto anni fa ricominciare con un altro lavoro è stata dura. La gente mi guardava con diffidenza. Io mi sono rivisto in lui e ho voluto aiutarlo. Lui ha gestito male i soldi della Lega come tesoriere, ma non ha rubato e poi con lui i bilanci del partito erano comunque migliori rispetto agli anni successivi». Cosa vogliono da lei i giornalisti del Fatto? «Montare su un' inchiesta contro la Lega. Sono alla caccia dei 49 milioni di rimborsi elettorali». Già, che fine hanno fatto quei soldi? «Sono sempre rimasti sul conto della Lega. Quando mio padre lasciò la guida del partito c' erano tutti, come risulta dai bilanci». Non lo ha detto a quelli del Fatto? Certo, ma quelli sono dei complottisti, anche se in mano non hanno nulla. Si figuri che Belsito, che ho sentito ieri dopo essere stato intimidito, mi ha detto che gli stessi giornalisti a lui avevano detto che erano disposti a soprassedere sulla vicenda ivoriana se lui gli avesse fornito dei documenti sui 49 milioni della Lega». Che idea si è fatto della vicenda? «Che è tornato di moda screditare la Lega e la stampa anti-salviniana ci sta investendo molto. I due giornalisti del Fatto sono stati in Costa d' Avorio due settimane, alla ricerca di chissà che cosa. Sono convinti che nelle maschere ivoriane Belsito volesse nascondere dei quattrini». I famosi 49 milioni da far rientrare in Italia? «Tesi ridicola; comunque i giornalisti mi hanno detto che alla fine della spedizione non si è fatto nulla perché Belsito ha avuto problemi con le autorità locali». Perché è venuto a raccontarmi questa storia? «Per provare a fermare le tonnellate di fango che temo vogliano scaricarmi ancora addosso. Io giro l' Italia con il furgoncino a vendere i miei prodotti. Ci metto la mia faccia nel lavoro. Se mi sputtanano ancora, sono rovinato». Qual è la sua situazione oggi con la giustizia? «Assolto per la vicenda dei rimborsi della Lega: tutte le spese considerate incriminate sono partite dal mio conto corrente, non da quello del Carroccio. Ancora sotto processo invece per i rimborsi da consigliere in Regione». Ne approfittava? «In quell' inchiesta sono coinvolti tanti. La gente è convinta che la cassa regionale fosse un bancomat; in realtà i miei rimborsi erano tutti autorizzati». Vota ancora Lega? «Eh certo, come si fa a non votarla? Sarebbe impossibile». E la politica? «Quello è un dramma perché è una droga, ti entra dentro e non te ne liberi più. Da ragazzo giravo le sezioni come un matto, avevo fatto la patente apposta. Ho rischiato la vita tante volte, tornando a casa la notte. Guidavi solo magari per trecento chilometri, quante volte mi sono svegliato a due metri dalla macchina davanti. Ma valeva la pena, per me era la vita. Per ora però sto alla finestra». Cosa pensa della Lega di oggi? «Fa delle battaglie giuste, che le portano molto consenso. In questi 15 anni però il modo di far politica è cambiato. Chi grida più forte, la vacca è sua, come dicono i legnanesi. Un tempo c' era più progettualità. Tutti sapevano che la Lega voleva un Paese federalista, oggi non è chiara l' idea di Italia di nessuno. Ma la politica è ciclica, tornerà il tempo della riflessione e dei grandi ideali». di Pietro Senaldi

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