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Lega, i 49 milioni? Ecco la perizia che scagiona Matteo Salvini: incassati e spesi prima che diventasse leader

Pietro Senaldi
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Libero è in grado di anticipare in esclusiva la perizia che scagiona la Lega da qualsiasi accusa nel procedimento iscritto contro ignoti dalla Procura di Genova per la sparizione dei 49 milioni di euro di rimborsi elettorali ricevuti dal partito tra il 2010 e il 2013. L’inchiesta si indirizza verso l’archiviazione, per manifesta inconsistenza della tesi incriminatrice e assoluta mancanza di prove. L'indagine era nata zoppa e odorava di processo politico da chilometri di distanza, ma ciononostante, o forse proprio per questo, la sinistra e i suoi giornali ci hanno sguazzato per anni. La tesi è che questi 49 milioni, che non si trovano da nessuna parte per il semplice motivo che sono stati spesi prima dell'avvento di Salvini alla segreteria del partito, nel dicembre 2013, sarebbero stati fatti spostare da Matteo all'estero, nel paradiso fiscale del Lussemburgo, per utilizzarli come fondi neri. Per mesi la PwC, la più importate società di revisione contabile al mondo, ha esaminato i conti della Lega e i flussi di denaro, in entrata e in uscita, per arrivare a elaborare la perizia che vi anticipiamo. Si tratta di un documento che ricostruisce tutti i movimenti di denaro del partito dal 2010 al 2017, quando il tribunale, alla ricerca dei fantomatici milioni scomparsi, sequestrò tutti i conti, sui quali ai tempi erano versati poco più di tre milioni di euro. È il provvedimento alla base dell'accordo con cui il Carroccio si è impegnato a versare 600mila euro l'anno allo Stato fino a raggiungere la cifra di 49 milioni. A ben vedere, si tratta di una vicenda tra il paradossale e il beffardo. Anzitutto, va chiarito che la Lega Nord ha ricevuto i 49 milioni perché ne aveva diritto in virtù del meccanismo di rimborso legato ai voti espressi dagli elettori in favore del Carroccio.

 

 

E allora per quale motivo oggi il partito si trova costretto a restituire allo Stato 49 milioni di euro di rimborsi elettorali legittimamente ricevuti? La risposta è una sorta di rompicapo giudiziario che ha ben poco di logico. Da una parte, infatti, la Lega Nord è stata considerata persona offesa nel processo che si è celebrato a Milano per le appropriazioni indebite dell'ex tesoriere leghista Francesco Belsito, dell'ex segretario Umberto Bossi e di suo figlio Renzo. Le cifre contestate ai condannati sono di molto inferiori, circa tre milioni al tesoriere e 600mila euro, per lo più di rimborsi spese indebiti, alla famiglia del Senatur. Dall'altra parte la Lega Nord è stata considerata soggetto che ha beneficiato, per l'appunto i famosi 49 milioni, della condotta di truffa contestata nei confronti di Belsito, Bossi e dei "revisori" del partito. In buona sostanza, la condotta degli imputati tesa a nascondere le appropriazioni indebite commesse ai danni del partito avrebbe avvelenato l'intero pozzo. È così che i 49 milioni da lecita contribuzione in favore del partito per volontà degli elettori diviene illegittimo arricchimento da restituire allo Stato. Un vero e proprio paradosso logico e giuridico a causa del quale il Carroccio subisce un triplo danno, quello di essere stato vittima di appropriazione indebita, quello di vedersi dichiarato per sentenza illecito il rimborso a cui aveva diritto e, infine, quello di dover restituire somme che i cittadini gli hanno dato esercitando il loro diritto di voto.

 

 

EQUIVOCI
Ma non è tutto perché la vicenda dei 49 milioni non è assolutamente finita qui. La convinzione dei pm è che, in pieno corso del giudizio nei confronti di Belsito e di Bossi, Salvini abbia fatto sparire i soldi, sottraendoli sapientemente prima dell'arrivo del sequestro giudiziario, mentre invece il denaro semplicemente non c'era perché già speso dai predecessori dell'ex ministro dell'Interno. In una commedia degli equivoci, la chiusura da parte dell'on. Stefano Stefani, successore nella tesoreria del partito, di almeno metà dei conti correnti aperti da Belsito e lo spostamento, una volta scoppiato lo scandalo della precedente gestione, della maggior parte del denaro dalla banca genovese Alletti all'istituto altoatesino Sparkasse, è stata interpretata come una volontà di occultare anziché come l'intento di fare pulizia. La Lega è stata oggetto di una campagna stampa diffamatoria, con l'accusa di aver spostato soldi su conti stranieri, quando invece, come certificato dalla perizia di PwC, l'unico pagamento all'estero fatto dal Carroccio sono i 3.799 euro versati nel 2015 sul conto corrente del professore universitario americano

Alvin Rabucka per una conferenza tenuta in Italia sulla flat tax, l'aliquota unica fiscale, cavallo di battaglia elettorale del partito. La stampa che vede in Salvini il nemico da abbattere ha creato filoni d'inchiesta che la magistratura ha seguito, inevitabilmente senza approdare a nulla. Le parole del revisore della Lega, Stefano Aldovisi, che ha dichiarato che sono spariti milioni dai conti della Lega sono state rivendute all'opinione pubblica come atti d'accusa. L'Espresso le ha collegate a degli spostamenti di denaro fatti dalla Sparkasse nella sua normale attività bancaria. L'istituto altoatesino ha specificato che non si trattava di denaro della Lega, ma questo non è bastato. L'eco mediatica degli articoli usciti ha fatto dichiarare alle banche lussemburghesi con le quali Sparkasse si interfacciava, che non sapevano da dove provenisse il denaro, e quindi non potevano escludere che arrivasse dalla Lega. La perizia che pubblichiamo dimostra che non è così. D'altronde, nel clima di caccia alle streghe che si è creato, si è arrivati anche al punto di segnalare come movimenti sospetti perfino i pagamenti di centomila euro ogni bimestre che la Lega esegue oggi in ottemperanza all'accordo con la Procura per il rimborso dei famosi 49 milioni. È solo uno degli effetti allucinogeni creati dal pregiudizio anti-leghista.

 

 

Tragicomico quello che ha riguardato la mail di Centemero dell'ottobre 2017, nella quale il tesoriere dava disposizioni sulla preparazione dello statuto connesso alla trasformazione del movimento in Lega nazionale, premessa della scelta sovranista di Salvini. Il Fatto Quotidiano e Repubblica, sbagliando a leggere la data, segnata in base al calendario anglosassone, come è uso al Senato, retrodatano la comunicazione a gennaio, prima del sequestro dei 49 milioni, avvenuto in settembre, e la spacciano come istruzioni per far sparire il denaro. Sembra un film dell'orrore. L'inchiesta è una sequenza di errori ed equivoci, per lo più indotti dalla stampa anti-salviniana. A mettere ordine, c'è la perizia che pubblichiamo, nella quale PwC certifica che "la totalità dei 49 milioni" oggetto dell'accusa di spostamento di denaro all'estero a finidi occultamento "è stata accreditata sui conti correnti della Lega prima che Salvini fosse eletto segretario ed è stata interamente spesa prima di quella data". I documenti accertano poi che le spese, e le entrate, del partito dopo il dicembre 2013 si sono più che dimezzate.

PANNA MONTATA
La perizia analizza nel dettaglio tutte le spese sostenute dalla Lega nel triennio 2010-2013, quello riguardante i famosi 49 milioni che il partito deve restituire. I conti dimostrano che la quasi totalità della cifra è stata spesa in campagne elettorali, stipendi al personale, pagamento degli oneri tributari, liquidazione di fatture ai fornitori, sovvenzioni alle sezioni territoriali e alle organizzazioni collaterali al partito; insomma, in tutto quello che è funzionale all'attività di un movimento politico e legittimo rispetto a essa. Ogni trasferimento rendicontato è provato da un bonifico o un accredito bancario. A termine dell'analisi dei movimenti di ogni anno, PwC certifica che "tutte le somme accreditate per rimborsi elettorali erano già totalmente uscite dai conti correnti bancari entro il 31 dicembre dello stesso anno e che esse erano state interamente impiegate e spese", a testimonianza che non sono mai state nella disponibilità di Salvini. I revisori attestano inoltre che, a parte l'accredito al professore universitario americano Rabucka, dalla nomina del capitano leghista "non sono stati emessi bonifici verso conti correnti esteri né è stato effettuato alcun nuovo investimento, mentre sono stati emessi assegni per soli 84mila euro, dei quali la metà a Sparkasse".

Ma, ancora più rilevante, in cinque anni "dai conti correnti federali sono stati prelevati contanti solo per 17mila euro". Per farla breve, più che austera, la gestione del nuovo tesoriere della Lega appare monacale. Questo non ha risparmiato al partito vaniloquenti inchieste giornalistiche, ma con ogni probabilità indurrà i magistrati liguri ad archiviare l'inchiesta. A volte anche i rompicapo giudiziari con un po' di calma e soprattutto di pazienza si possono sciogliere. La vicenda contabile è finalmente chiara. Resta da dirimere quella politica. Perché la Lega deve restituire 49 milioni di euro di rimborsi elettorali, legittimamente percepiti e per il 97% rendicontati, solo per la colpa di essere vittima di una appropriazione indebita e di una truffa da parte del suo ex tesoriere e per i rimborsi spese eccessivi del suo ex segretario? La restituzione ha senso solo nell'ottica di danneggiare un partito e non farlo competere nel teatro democratico con le stesse carte e gli stessi diritti degli altri. Resterà invece probabilmente aperta l'inchiesta milanese sui fondi per sostenere la lista Maroni Presidente alle elezioni del 2013. Trattasi di 450mila euro bonificati in tre tranche da 150mila euro l'una a titolo di prestito e, come scrive PwC, "poi restituiti nel 2014 e nel 2016". Anche questa, un'altra gustosa indagine di panna montata.

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