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Nicola Zingaretti, altro che attacco hacker: è lui il vero "virus" del Lazio, il Green Pass è ancora un miraggio

Alessandro Giuli
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La Regione Lazio sta uscendo estrema fatica e lentezza dall'inatteso tilt sanitario ma nessuno, a parte i cittadini esasperati, lo grida ad alta voce. Niente titoloni sui giornali che contano, neppure l'ombra di un processo pubblico alla disfunzionalità di Nicola Zingaretti. Fosse accaduto in Lombardia, se a distanza di quasi due settimane dall'attacco hacker il sito della Regione fosse così ammaccato, con la campagna vaccinale improvvisamente passata dal sistema digitale a quello analogico (la procedura di registrazione in loco declassata su fogli di carta, con tempi di realizzazione da tavolette cuneiformi), il presidente Attilio Fontana sarebbe già stato spellato vivo in piazza. E invece qui, nel Lazio, dove il green pass di numerosi vaccinati a fine giugno ancora non risulta attivo, il caldo divorante ha fatto evaporare anche l'ultimo lembo di senso critico. Ieri, connettendosi all'home page ufficiale della Regione, ci si trovava al cospetto della solita schermata paracula: «Online il nuovo portale istituzionale della Regione Lazio». Epperò «a causa di un attacco hacker alcuni servizi non sono raggiungibili. Ci scusiamo per il disagio, stiamo lavorando per ripristinare tutte le funzioni nel più breve tempo possibile».

 

 

 

Messaggio agli utenti

Immutata la spiegazione del collasso tecnico: «In data 30/07/2021 un attacco informatico effettuato da Hacker (in maiuscolo, forse è un messaggio cifrato ai pirati ricattatori in vista del pagamento del riscatto, ndr) al data center che ospita alcuni dei sistemi informatici della nostra Regione ha compromesso l'utilizzo di alcuni dei servizi e delle applicazioni a disposizione del cittadino. Stiamo provvedendo a fare tutto il necessario per porre rimedio all'accaduto e bloccare questo attacco per evitare ulteriori conseguenze sulla privacy e la sicurezza dei dati personali dei cittadini in possesso della Regione». Ma il cittadino, constatato l'annuncio di un nuovo portale online e abbastanza indifferente ormai alla possibilità che i propri dati sensibili siano finiti in chissà quali mani, come prima cosa cerca di andare sul servizio principale del sito, "Salute Lazio", per collegarsi al sistema sanitario regionale che monitora e gestisce gli effetti della pandemia...Anche in questo caso il portale gemello ammette il perdurare delle disfunzioni telematiche e assicura al massimo prenotazioni per vaccini e tamponi. Insomma il completo ritorno alla normalità è ancora lontano per vie delle «misure» che «pur comportando la sospensione di alcuni servizi si rendono necessarie per evitare di acuire le conseguenze dell'attacco» (così sempre sull'home page). A onor del vero va un po' meglio rispetto a tre giorni fa, quando non funzionavano né i servizi digitali né le mail, si navigava al buio e le pagine web avevano il dinamismo del rigor mortis. Restano tuttavia inevasi i quesiti principali sulla genealogia dell'attacco, sulla portata delle conseguenze e sul trattamento di riguardo assicurato a Zingaretti. Dipenderà forse dal fatto che, prima del fragoroso black out, la campagna di vaccinazione laziale aveva mostrato speditezza e organizzazione al limite dell'impeccabilità. Merito indiscusso dell'assessore competente, Alessio D'Amato, il quale può legittimamente rivendicare che «il 70 per cento della popolazione con più di 12 anni ha completato il ciclo vaccinale», essendo state superate 7,2 milioni di dosi somministrate malgrado «l'attacco dei criminali informatici». E tuttavia, in pieno regime di compressione dei diritti provocato dal coronavirus, e fra molte altre lacune amministrative, nella Regione "modello" di Zingaretti resta ancora una quantità imprecisata di vaccinati dotati di lasciapassare verde inattivo e trattati di conseguenza alla stregua dei no vax.

 

 

 

I precedenti

La clamorosa beffa informatica si aggiunge ad altre, note e caliginose circostanze su cui il cono di luce mediatico si è acceso soltanto a intermittenza. La più eclatante riguarda le famigerate "mascherine fantasma" comprate a caro prezzo, durante la prima ondata di Sars-CoV2, e mai ricevute dalla Protezione civile dopo un versamento di oltre 13 milioni di euro da parte della Regione. Se poi l'Italia non fosse ancora così permeata dalla logica della doppia verità paleocomunista, probabilmente ben altro peso avrebbe assunto la vicenda di "Concorsopoli": la poco edificante assunzione (poi revocata) in Regione Lazio di almeno 16 fra militanti, dirigenti e collaboratori del Partito democratico tramite un'improbabile graduatoria allestita nel Comune di Allumiere, a circa 40 chilometri dalla Capitale. Il caso risale al Natale del 2020, la pandemia era alle porte e nessuno poteva saperlo, però Zingaretti aveva già tutti gli strumenti a disposizione per proteggere i suoi cittadini dalla vulnerabilità di un sistema informatico regionale roccioso come il burro.

 

 

 

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