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Attacco hacker, chi sono i terroristi e cosa vogliono davvero: il virus più pericoloso, perché l'Italia rischia di capitolare

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Renato Farina
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L'Italia è sotto attacco. Il luogo dell'operazione è una delle strutture più delicate dal punto di vista della sicurezza nazionale: la Regione Lazio. Il commando di terroristi (questa è la parola usata da Nicola Zingaretti) ha perforato il sistema informatico e si è impadronito, bloccandolo, del piano di vaccinazione contro il Covid. È come se una mano nemica e guantata avesse afferrato il cuore pulsante da cui dipende la salute di cinque milioni di persone e lo strizzasse a piacere. Quel che è accaduto e sta accadendo non è un affare che riguardi le alte sfere, come siamo sempre indotti a pensare quando si parla di aggressioni informatiche, da analfabeti digitali come sono gran parte degli italiani di una certa età.

Non è come quando salta la corrente, dopo di che tutto si aggiusta grazie a un bravo tecnico. È un atto di guerra del nuovo tipo. Due domande. Perché l'Italia? Siamo pronti a difenderci? 1. Una banda armata di competenze tecnologiche elevatissime ha puntato il nostro Paese, ha individuato il ventre molle, ha compreso che poteva manomettere il comparto avanzato da cui dipende la fiducia della nazione e la crescita economica (la lotta alla pandemia), nonché impadronirsi di dati delicatissimi (le cartelle sanitarie dei nostri vertici politici, ma anche elementi generali sulla salute di una porzione significativa degli italiani).

 

 

DATI SENSIBILI
Abbiamo assistito nei mesi e nelle settimane scorse alle violente bordate tirate dal presidente degli Stati Uniti d'America contro la Russia e la Cina, sospettate di condurre direttamente i bombardamenti cyber o di lasciare mano libera a entità specializzate nel minare i nodi strategici dell'energia e del vettovagliamento alimentare (ricavandone milionari riscatti e seminando sfiducia), nonché condizionare con invasioni di false notizie l'opinione pubblica per indebolire le istituzioni. Per la prima volta a essere in totale balìa di queste forze criminali non è una multinazionale privata, ma di fatto un'istituzione nevralgica di uno Stato sovrano. L'Italia dà fastidio. Non c'è dubbio. Siamo cresciuti in maniera esagerata quanto a prestigio sulla scena politica, ma non è tanto merito di un uomo solo, e cioè Draghi, quanto per la dimostrazione complessiva di questo nostro popolo così vituperato di tirarsi su, riprendendo con risorse interiori che parevano perdute, un ruolo di leadership europea.

 

 

Si dice che gli attacchi possano provenire dalla Germania, ma è una ipotesi, e a sua volta questa aggressione potrebbe essere semplicemente transitata da lì. Di certo, per una volta Zingaretti ha ragione e sa quel che dice quando la definisce "azione terroristica". Dunque non è malavita che ha fatto i master, ma c'è un disegno. Il terrorismo ha per scopo la destabilizzazione. 2. Questo attacco ci trova impreparati. Non abbiamo nessuno scudo predisposto contro questi proiettili perforanti. La colpa è anzitutto culturale. Diciamocelo. Sembra ai profani (quanti? L'80% degli italiani?) qualcosa di impalpabile, dunque in fondo marginale, questo attacco cibernetico all'Italia in corso da due giorni. Magari se ce lo chiede un intervistatore diremmo che sì, sappiamo che è grave. Ma mentiamo, in fondo non ci crediamo. Non vediamo scorrere il sangue, il sequestro non riguarda persone in carne e ossa, ma informazioni, archivi, dati organizzativi. Per questo non riusciamo ad allarmarci nel profondo. Questo è capitato alla nostra classe politica e governativa salvo pochi illuminati che si sono però presto arresi.

Nel 2014 Matteo Renzi prese l'iniziativa di istituire un'agenzia e investimenti per qualche centinaio di milioni onde approntare un'armatura difensiva. Una inezia. Gli Usa negli stessi giorni investivano cento volte tanto. Ma fu bloccato lo stesso, per le solite beghe su chi avrebbe dovuto controllare quell'ambito. E dire che dieci anni fa si erano già contati un centinaio di imboscate dei pirati informatici. Adesso con il governo Draghi si è cominciato a mettere su un'agenzia di cyber sicurezza. I fondi sono adeguati. Il sottosegretario con la delega in questo settore delicatissimo e urgente, Franco Gabrielli, ha dato un paio di interviste, prima al Riformista e poi ieri a Repubblica, in cui prospetta grandi cose. «Con questo decreto noi vogliamo mettere in sicurezza le strutture esistenti e quelle che nasceranno. Per far ripartire l'Italia è necessario anche metterla in sicurezza sotto il profilo del cyber».

 

 

SIAMO IN RITARDO
Dal dire al fare c'è di mezzo un vuoto che durerà anni. Non basta assumere bravi muratori. Ci vuole un progetto e del tempo per tirare su questa barriera. E nel frattempo? In piena confusione istituzionale, il Copasir, l'organismo parlamentare che si occupa di servizi segreti, convoca per informarsi la neo-direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), Elisabetta Belloni, per rispondere sulla materia incandescente. Peccato che nel frattempo Franco Gabrielli abbia portato via al Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza) quell'agenzia in fieri. Intanto converrà rafforzare le nostre alleanze nel settore: con gli alleati occidentali, please. Fino a poco tempo fa strizzavamo l'occhio alla Cina.

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