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Mannoia, Littizzetto e Murgia, l'appello: una donna al Quirinale. La Aspesi si dissocia: "No grazie"

Alessandro Giuli
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Le donne non gli vogliono più bene, anche se non porta la camicia nera come nella canzoncina di Salò. Lui è Mario Draghi, aspirante capo dello Stato, loro sono le donne di sinistra riunite in un'immaginaria assemblea sindacalizzata per promuovere una donna purchessia al Quirinale. Esigono una successora di Sergio Mattarella - «vogliamo dirlo con chiarezza: è arrivato il tempo di eleggere una donna» - e lo scrivono in un appello carico di aspettative rivolto «alle forze politiche chiamate a votare il prossimo Presidente della Repubblica».

 

 

 

 

Le firme, ovvio, sono altrettanti blasoni: Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luciana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andrée Ruth Shammah, Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini, Fiorella Mannoia. Insomma il meglio del bel mondo intellettuale goscista, letterario e spettacoloso, televisivo e accademico, invariabilmente pensoso.

 

 

 



NIENTE NOMI - La tesi è trasparente perfino: «...crediamo sia giunto il momento di dare concretezza a quell'idea di parità di genere, così tanto condivisa e sostenuta dalle forze più democratiche e progressiste del nostro Paese... ci sono in Italia donne che per titoli, meriti, esperienza ed equilibrio possono benissimo» salire al Quirinale, anche se «non è questa la sede per fare un elenco di nomi, ma molte donne hanno ottenuto stima, fiducia, ammirazione in tanti incarichi pubblici ricevuti, e ci rifiutiamo di pensare che queste donne non abbiano il carisma, le competenze, le capacità e l'autorevolezza per esprimere la più alta forma di rappresentanza e di riconoscimento. Questo è il punto. Non ci sono ragioni accettabili per rimandare ancora questa scelta». Le firmatarie non fanno nomi, dunque, ma ci ricordano che «l'Italia è una democrazia largamente incompiuta, tanto più rispetto a paesi come Germania, Gran Bretagna, Austria, Belgio, Danimarca, Islanda, Norvegia, Finlandia». Sicché, avanti o popolo, urge uno slancio rosa e consapevole: «Ci rivolgiamo a voi, fate uno scatto. L'elezione di una donna alla Presidenza della Repubblica sarà la nostra, e la vostra, forza». Il ragionamento non fa una piega, in fondo completa in via bisex la proposta lanciata in mancanza di meglio da Giuseppe Conte ma per la quale in molte- come anche la vice segretaria del Pd Irene Tinagli - hanno già inchiodato l'ex bispremier alla sua cinica fantasticheria: e come ti permetti, maschio bianco dei nostri stivali, di uscirtene in questo modo vago e conformista se non pure patriarcale? Perché le quote rose o sono rosa o non sono, sin dalla loro primaria manifestazione rivendicativa.

 

 

 

 

Peccato ci vada di mezzo Draghi (ma a Palazzo Chigi potrebbe comunque restare, chiediamo per un'amica?) del quale senz' altro pensano ogni bene anche le nostre suffragette michelamurgesche che tuttavia, sempre ieri, devono aver letto con qualche disappunto il coincidente corsivo della stellare Natalia Aspesi su Repubblica. Lei, la gran dama del giornalismo liberal (qualunque cosa ciò voglia dire), sì che sa dare un tono d'ironica ineludibilità ai suoi desideri così come ai brutti sogni, e ha già risposto all'appello in questione senza neppure averlo letto: «Una donna al Colle? No grazie». Deliziose le motivazioni, peraltro, fra le quali segnaliamo un passaggio degno di Aristofane: «Il mondo è pieno di donne capi di Stato e di governo che se la cavano benissimo, ma non so perché, in quanto italiana, penso che sia meglio avere pazienza, lasciar risolvere il peggio dagli uomini che l'hanno creato e come donne, aspettare tempi più sereni».

 

 

 



SENTINELLE DI GENERE - Meglio lasciare il peggio ai peggiori e augurare il meglio alle migliori per quando le condizioni lo consentiranno. Aspesi al limite accarezza il nome di Liliana Segre, ma la vorrebbe semmai con prerogative regali modello Elisabetta II; e la desidera, se non maestà, «Presidenta» giocoforza «per non dispiacere alle sentinelle di genere». Ma poiché incombe l'astuzia perfida della ragione, anche la cara Natalia s' immerge nelle acque gelide della verità e ammette che un nome più realistico sarebbe quello di Giorgia Meloni: «...ed è per questo che la notte ho gli incubi». Piuttosto che gridare «ve la meritate la Meloni!», al netto degli impedimenti anagrafici, Aspesi preferisce rinunciare alla partita. Quello che le donne non dicono stavolta è più interessante di quel che scrivono.

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