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Matteo Salvini seguito dai servizi segreti? "Qualcosa non torna": sospetti su Luigi Di Maio

 Matteo Salvini

Fausto Carioti
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Dunque, se si sanno certi dettagli delle visite di Matteo Salvini all'ambasciatore russo Sergej Razov, lo dobbiamo ai servizi segreti. Non proprio una sorpresa, se due giorni fa Libero scriveva che dietro alla diffusione della notizia dei colloqui di Salvini con Razov «molti, in parlamento, vedono una "manina" dei servizi segreti italiani, dove qualcuno che abbia il tempo per seguire simili pratiche si trova sempre». Però gli 007, tramite Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti, ieri hanno fatto sapere che ciò è avvenuto «non perché spiassero il senatore della Lega», ma perché villa Abamelek a Roma, la sede diplomatica in cui è avvenuto l'incontro, «è monitorata costantemente dall'intelligence Usa e dalla nostra agenzia di controspionaggio interna, l'Aisi». Controllo che «si è intensificato dopo l'inizio della guerra in Ucraina». È giusto che una simile vigilanza ci sia: sarebbe preoccupante il contrario, sebbene l'attenzione dedicata all'ambasciata russa non escluda quella nei confronti del segretario della Lega, che se ci fosse sarebbe invece molto grave. Eppure, anche così, i conti non tornano. Perché non c'è leader o responsabile della politica estera di un partito degno di questo nome, o parlamentare che abbia un incarico in commissione Esteri e la voglia di costruire la propria tela di relazioni, che non si rechi regolarmente nelle poche ambasciate che contano.

 

 


PAROLE (QUASI) INNOCUE
Talvolta s' intrattengono con l'ambasciatore o con l'incaricato d'affari che ne prende il posto ad interim (come accade in questo periodo nella sede diplomatica statunitense, priva di ambasciatore dal gennaio del 2021, segno che l'Italia non è poi così centrale nei pensieri di Joe Biden). In altri casi parlano con i responsabili dell'ufficio politico dell'ambasciata. Riferiscono cosa pensano della situazione italiana e spiegano le proprie intenzioni. Quasi sempre sono chiacchiere innocue, anche se possono essere accompagnate da giudizi (sugli alleati, i colleghi di partito, i ministri o altre figure) che non è il caso che appaiano nelle interviste o sui social network. Il diplomatico ricorda quali punti il proprio governo ritiene essenziali affinché l'amicizia tra i due Paesi rimanga solida, sperando che quello se ne ricordi al momento giusto; il convenuto ne prende nota e conta di costruire così un rapporto che gli torni utile. Quando dalla conversazione emerge qualcosa d'interessante, diventa oggetto di documenti indirizzati dall'ambasciata al proprio governo, che possono essere coperti da diversi gradi di segretezza.

 

 

Qualcuno ricorderà lo "scandalo Wikileaks", che fece diventare di dominio pubblico i cablogrammi in cui Elizabeth Dibble, incaricata d'affari americana a Roma, nel 2009 aveva avvertito il dipartimento di Stato di Washington che Silvio Berlusconi, all'epoca presidente del consiglio, era un leader «fisicamente e politicamente debole», le cui «frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza»: ecco, le chiacchierate "informali" che avvengono nelle ambasciate servono anche a raccogliere simili informazioni. Ed è ovvio che le ambasciate non sono tutte uguali e che entrare oggi in quella russa lascia uno stigma che le rappresentanze dei Paesi occidentali non danno. Ma è altrettanto vero che si può nuocere alle proprie istituzioni pure parlando con i diplomatici dei Paesi amici (vedi sopra) e che l'esistenza di certi colloqui è comunque tenuta coperta. Tant' è vero che nessun leader o dirigente di partito (salvo rari casi) li sbandiera, anche perché molti elettori non gradirebbero l'immagine dei pellegrinaggi reiterati nell'ambasciata di un Paese straniero.

 

 


IL CASO DEL M5S
Basta pensare ai Cinque Stelle, che avevano promesso di andare al governo per smantellare la base siciliana del Muos, il sistema satellitare militare degli Stati Uniti, e di fare «una riflessione sull'attuale ruolo della Nato e sugli effetti che l'appartenenza italiana alla Nato produce in termini di limitazione della sovranità territoriale». Impegni solennemente rinnegati una volta vinte le elezioni: segno che il tempo speso con loro dai diplomatici americani non è stato inutile. I servizi italiani sono al corrente di questi incontri, non solo di quelli che avvengono a villa Abamelek, e si guardano bene dal renderli pubblici. Anche quando riguardano l'ambasciata della Cina, dove Beppe Grillo e Luigi Di Maio non sono stati gli unici visitatori politicamente rilevanti. Col capo della Lega, però, questa prassi è stata violata, col risultato paradossale di creare scandalo attorno all'unico politico che ha ammesso di avere avuto simili colloqui («Oggi ho incontrato l'ambasciatore russo», disse ad esempio il 5 maggio). Fossimo in Salvini, penseremmo che qualcuno ci vuole male. 

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