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Draghi come Batman: se il fantasma del premier guida il nuovo centro

 Draghi/Batman da Mattarella

Da Di Maio alla Gelmini, perché si lavora a un contenitore con l'agenda di SuperMario. Una situazione che ricorda un vecchio fumetto, Il ritorno del Cavaliere Oscuro..

Francesco Specchia
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Nel graphic novel di Frank Miller Il ritorno del Cavaliere Oscuro del 1986, in una Gotham City del futuro, un gruppo di sbandati accorsi dalle viscere dell’apocalisse, morto il loro mentore Batman, decidono di disegnarsi sulla faccia un pipistrello; e di trasformarsi in una setta vera e propria che vive nel ricordo, nelle azioni e nel culto del loro supereroe. Ecco. Pur volendolo ricordare da vivo, SuperMario Draghi uscito malamente dai radar della politica, mi ricorda lo spettro di Batman. 

Si sta formando, ai margini delle urne prossime venture, il partito di Draghi senza Draghi. Trattasi, come afferma Matteo Renzi di un’ampia «area Draghi delusa» dal voltafaccia della Lega e dal «tradimento» (parole esalate da molti imprenditorie e professionisti del centrodestra del nord e del sud, e da Brunetta e dalla Gelmini) di Silvio Berlusconi. Trattasi d’una pattuglia di centristi che vive in varie fasi il suo personale culto di Draghi. 

]Dapprima, infatti,  essi disegnano il loro futuro nella speranza di candidare l’ex presidente della Bce proprio come prossimo premier. Ma non più di un governo di unità nazionale. E questo lo certificano lo stesso Renzi draghiano primigenio che può stare  con Calenda;  e Calenda draghiano invincibile che flirta con Letta e parla con Franceschini (ma allora Renzi non ci sta); e Gigi Di Maio draghiano di ritorno; e Tabacci draghiano democristiano che fu il primo a ventilare la proposta, ironizzandoci ma non troppo. E  perfino lo sostiene  Letta il draghiano intermittente il quale adesso si dice “entusiasta” dell’idea ma siccome s’era detto entusiasta pure di Conte, be’, non risulta affidabilissimo. Come nel Cavaliere Oscuro, appunto, Draghi è scomparso malamente dalla scena, ingoiato nella notte; esiliato da un mondo irredento  che non lo comprende più; e perseguitato dei propri stessi alleati. Eppure al suo senso di giustizia, di servizio e di bene comune cominciano ad abbeverarsi i disillusi d’ogni latitudine. E sono un discreto numero. Si passa dai 2000 sindaci ai 100mila anonimi firmatari di petizioni, alle frotte di imprenditori schiaffeggiati dal crollo della borsa e dal vento sempre più impetuoso dello spread contro cui la Bce si prepara ad erigere il famoso scudo (altra idea di Draghi). 

Eppure la legacy di Draghi, la sua pesante eredità, viene sempre più evocata nell’agenda di un governo prossimo venturo che non sia, però, né affiliato alla destra, determinante a far fuori Draghi; né alla sinistra, impassibile di fronte al suo assassinio politico. Sarà, a questo punto, un esecutivo utopico, che deve necessariamente ispirarsi a Supermario nelle posizioni su legge di bilancio, concorrenza, salario minimo, taglio al cuneo fiscale, caroenergia, atlantismi vari. I sussurri della politica, in queste ore, insomma, abbondano del fantasma del premier che alimenta, dall’oltretomba, un partito dalla potenza immaginifica. Forse.

Certo c’è chi, come Vittorio Sgarbi sostiene le speranze del suddetto Letta.

E  dà al progetto “draghista” una connotazione (virata alla) sinistra, che contemporaneamente fotografa «il dramma dell’area governativa di Forza Italia». Riferisce Sgarbi: «Draghi, verrà indicato dal centrosinistra come candidato premier senza iscriverlo in nessuna lista, si creerà un partito di nostalgici che ne chiederanno il ritorno nel prossimo governo con un definito peso politico». E aggiunge Sgarbi:  «Lo stesso Draghi ha provocato questo effetto chiedendo di far votare la sola mozione Casini (due righe in croce per approvare in toto e senza eccezioni un nuovo patto di salvezza nazionale, ndr)  ispirata dalla Sinistra. In tal modo ha coalizzato un centro che appoggerà e si appoggerà alla Sinistra e ai responsabili». Secondo il leader di Rinascimento, in questo modo, «il cosiddetto campo largo verrà sostituito da un campo per Draghi composto, appunto da Calenda, Renzi, Tabacci, Brugnaro, Toti, Di Maio, che chiederanno consensi in suo nome. A questi si aggiungeranno Gelmini e Brunetta. Quest’area non è dì sinistra ma è ’con’ la sinistra, nel nome di Draghi”. E Toti abbozza ma non commenta. E Di Maio, lunico campano con la grisaglia al volto, si chiude nei suoi silenzi istituzionali. E Gelmini e Brunetta col loro brutale – e coraggio, occorre dirlo- abbandonando  la storica famiglia di Forza Italia, altro non fanno  che accreditare questo scenario. Perfino la fedelissima del Cavaliere, Mara Carfagna, pur esprimendo «gratitudine per il Presidente Berlusconi per la fiducia che mi ha testimoniato in questi anni», parla di una frattura «con un mondo di valori nei quali ho sempre creduto». E  si avvia a una di quelle «serie riflessioni» che  richiamano  il preludio dell’addio. 

Certo, Draghi fatica ad entrare nel ruolo della voce fuori campo di un nuovo modello politico luminoso  per   competenze e per credibilità internazionale.  Magari s’è stizzito a farsi strattonare per la giacchetta. Magari non ci tiene ad trasformarsi in un brand; nè ad essere paragonato al De Gaulle che nel ’68 lasciò la Francia in brache di tela per riapparire fiero e vendicativo.  Una cosa è certa: non cadrà nell’errore che costò carriera e faccia a  Monti. 

Il partito Draghi –se ci sarà- resterà formato da molti, troppi, colonnelli e da un generale fantasma. Un Cavaliere Oscuro, ma senza ritorno…

 

 

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