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Mario Draghi, le accuse di Bertinotti: "Come ha ucciso la politica e chi rappresenta"

Giovanni Terzi
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«Con questo ultimo atto in Parlamento la politica è definitivamente finita, morta. In realtà ci sono stati, in questi ultimi anni, molti evidenti ed importanti segnali ma con oggi abbiamo chiuso definitivamente la stagione del primato della politica». Chi parla è Fausto Bertinotti già presidente della Camera dal 2006 al 2008 e segretario del partito della Rifondazione Comunista. Bertinotti, ideologicamente a cavallo tra il comunismo ingraiano ed il socialismo lombardiano, è un convinto movimentista oggi vicino alle esperienze radicali non-violente e pacifiste.

Mi scusi onorevole perché dice questo? In realtà è la politica che ha scelto di far cadere un governo di tecnici. Mi sbaglio?
«Guardi, basta ripercorrere analiticamente questa ultima legislatura per capire il senso del mio pensiero. In questi ultimi quattro anni e mezzo abbiamo avuto dei governi, chiamiamoli, acrobatici e trasformisti. Il primo, giallo-verde, che metteva insieme due forze populiste fallisce miseramente dopo un anno. Nel secondo, giallo-rosso, totalmente diverso e che trova come collante dal primo la crisi della democrazia, si è svuotato sempre di più il ruolo, per me centrale, del Parlamento. Durante il secondo governo Conte la crisi della democrazia e dei partiti si è acuita per responsabilità della pandemia relegando le funzioni del Parlamento a dei semplici momenti di notifica di atti decisi dal presidente del Consiglio e dal governo. Infine, siamo arrivati al governo Draghi, di quasi unità nazionale, dove c'è stata una ulteriore centralizzazione del potere sul capo del governo e dove, dulcis in fundo, i parlamentari hanno applaudito chi avevano appena mandato a casa. In sintesi tutte e tre le esperienze di questa ultima legislatura hanno sempre cercato una personalità esterna alla politica che potesse fare sintesi e superare la crisi. È la perenne ricerca del Papa straniero che mette ordine».


Lei ha giustamente detto che la pandemia ha accelerato questo processo...
«Guardi, anche come si è affrontato il Covid è stato emblematico della crisi della politica. Una politica debole ha messo nelle mani di una oligarchia di medici e scienziati ogni tipo di scelta nella incapacità di avere una visione ed utilizzare i "tecnici" come strumento e non come fine. Possiamo dire che prima i tecnici governavano la pandemia dopo hanno governato l'economia. Perché la politica debole, spesso acriticamente, acquisisce ciò che è tecnico facendolo diventare indiscutibile e tutto questo ha generato la definitiva uscita di scena del ruolo del Parlamento».

E dove sta, secondo lei, l'errore?
«Che la politica cerca di bypassare la sua crisi senza dare risposte strategiche ma individuando scelte tattiche di breve durata che però ne allungano l'agonia. Ripeto l'errore della politica è stato quello di cercare nel "Papa straniero" la soluzione e nel regalare, ad una oligarchia pre-esistente, carta bianca per risolvere i temi sociali del paese. Mario Draghi ha rappresentato perfettamente tutto questo: chi è tecnico è indiscutibile e la stabilità viene dettata da governi tecnici ed oligarchici».

E i partiti?
«Sono semplici portatori d'acqua senza più una forza profonda nella società. Basti pensare che meno della metà degli elettori va a votare e da qui si capisce il livello di disinteresse delle persone per ciò che accade in Parlamento: e questo è un male per la democrazia».

Ma lei come si spiega quello che chiama «la morte della politica»?
«Vede, all'inizio del Novecento esistevano dei partiti i cui nomi rappresentavano esattamente l'ideologia che vi era dietro: partito comunista, socialista, democristiano, repubblicano e liberale. Oggi non più. Sono scomparse le ideologie, su cui si fondava il dibattito politico anche interno con la nascita delle correnti, e sono evaporati i nomi dei partiti tradizionali. La mancanza di una ideologia chiara fa venire meno la ragione della esistenza dei partiti e della politica che, a loro volta, evitando il dibattito interno sono nelle mani di un oligarca che gestisce le logiche, le dinamiche e sceglie i candidati».

E quando è iniziato, secondo lei, tutto questo?
«La politica inizia a finire con la morte di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Da lì l'arrivo di forze che avrebbero dovuto modernizzare il Paese hanno determinato il resto. Questo in quanto i nuovi partiti avevano il compito davanti all'opinione pubblica di seppellire il passato nella utopia idea che solo così il Paese si sarebbe evoluto. Le faccio un esempio: il conflitto tra berlusconismo ed antiberlusconismo è sempre stato sbagliato nei termini. La cosa giusta sarebbe stata un confronto tra destra e sinistra. Sono gli ideali che determinano la sfida ed i contenuti, non le persone. Oggi la personalizzazione dello scontro politico è un altro effetto, deteriore, della politica. Inoltre esiste l'ideale del superamento delle diseguaglianze sociali».


Mi spieghi onorevole...
«Una volta il modello capitalistico taylorista o keynesiano erano tesi entrambi al superamento delle diseguaglianze tra le classi; oggi il nuovo capitalismo fa della diseguaglianza il proprio paradigma e guardi che l'analisi che faccio sul nostro Paese è la medesima che dedico anche all'Europa e all'America».

Perché?
«Gli Stati Uniti d'America a breve andranno in recessione tecnica e, ad esempio, la Germania, da sempre considerata la locomotiva dell'Europa, è oramai una macchina in crisi».

E questo cosa significa secondo lei per il nostro Paese?
«Che è inutile affidarci ad un governo sovranazionale perché tutte le democrazie, oggi, sono in crisi. L'Europa, dal trattato di Maastricht del 1992 in poi, ha costruito un modello oligarchico che ha escluso la riforma sociale nel nome di modelli economici capitalistici e riproponendo una alleanza atlantica che è opposta a ciò che sarebbe necessario avere».

Cosa sarebbe necessario che l'Europa avesse secondo lei?
«Autonomia. Io vedo una Europa che diventa cerniera, ponte, tra gli Stati Uniti e quella che viene chiamata EurAsia (Russia, Cina e Medio Oriente). Io speravo che in questa guerra vivesse una Europa unita capace di mediare: purtroppo così non è stato. Mi deve spiegare in quale manuale c'è l'idea di armare una parte del conflitto per cercare di portare la pace. Dire "la guerra può finire solo se si mandano armi" è un ossimoro, è privo di senso. Anche in questo caso noi stiamo vivendo un contrasto tra ciò che una oligarchia sceglie a ciò che il popolo vorrebbe. E questo appiattimento non fa bene a chi governa i vari Paesi. Guardi Macron. La sua politica estera sul conflitto tra Ucraina e Russia ha determinato una sua débâcle elettorale. Oggi si sta ballando sulla tomba della politica».

Lei è molto pessimista onorevole Bertinotti. Cosa si potrebbe fare?
«Quando c'è un terremoto che distrugge ogni cosa generando macerie cosa si fa? Ci si deve liberare delle macerie prima di ricostruire nuovamente; oggi sembra che ciò non riesca ad avvenire e che si cerchi ancora qualcuno che sia capace di costruire sopra di queste. L'eliminazione delle macerie è un fatto di sanità pubblica e anche in politica deve accadere questo».

E operativamente?
«Tornare ai partiti che siano portatori di idealità, di visione e anche di ideologie. Devono rinascere partiti che sappiano e interpretare la società in cui viviamo anche attraverso alleanze geopolitiche future. Insomma servono figure di spessore che sappiano reinterpretare il nostro prossimo futuro».

Lei vede personalità oggi all'altezza?
«Ho visto in Francia la nascita di una nuova figura politica, Jean-Luc Melenchon, che sta facendo proprio questo lavoro. In Italia non saprei, esiste un grandissimo livore, personale, e quindi un'altissima dose di litigiosità che ancora più allontana i cittadini e quindi gli elettori».

Personalità come Marco Pannella mancano nella politica di oggi?
«Sì, tantissimo. A me personalmente manca la sua amicizia oltre che la sua dimensione umana e politica. Ma come lui mancano quelle personalità che erano frutto di una grande idea politica. In fin dei conti, sia Pannella che io, da giovani che approcciavamo alla politica eravamo come dei nani seduti sulle spalle dei giganti».

Quindi oggi a livello internazionale non vede nessuna forza transnazionale capace di essere un punto di riferimento per la nostra società?
«In realtà sì: l'unica forza oggi esistente e transnazionale è la Chiesa di Papa Francesco». 

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