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Pd difensore dell'Occidente? L'abbaglio di Panebianco: una tesi inverosimile

Corrado Ocone
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Ma davvero «stiamo per assistere a una nuova edizione delle elezioni del 18 aprile 1948»? Davvero gli italiani, oggi come allora, devono scegliere se stare con l'Occidente o con l'Oriente, che questa volta è rappresentato non solo dalla Russia ma anche dalla Cina? La tesi, paradossale e inverosimile al tempo stesso, non meriterebbe nemmeno un commento se a formularla non fosse stato ieri, in un fondo del Corriere della sera, colui che è forse il più illustre politologo italiano, per giunta di formazione liberale: Angelo Panebianco.

Che la tesi sia inconsistente dipende non solo dal fatto che il socialismo realizzato è bello e crollato, ma anche da tanti altri fattori: in Italia non c'è un più un partito comunista e i suoi eredi si atteggiano a liberali ma spesse volte il loro atlantismo è solo di facciata, i neofascisti sono sparuti gruppi per lo più folcloristici, le democrazie sono in profonda crisi e comunque le spinte illiberali sono presenti anche al loro interno sotto forma di conformismo, intolleranza, omologazione.
 

SEMPLIFICAZIONE - Sarebbe troppo facile dividere il campo con una accetta, come tutto sommato si poteva fare all'indomani della guerra. Ma allora perché un illustre scienziato della politica cade in un abbaglio così evidente? Io un'idea ce l'avrei: teorica prima ancora che pratica, come si conviene a uno studioso. E la espliciterei facendo riferimento a un vecchio ma aureo libretto del maestro di Panebianco, altro liberale doc, Nicola Matteucci: Il liberalismo in un mondo in trasformazione. Nel libro, che uscì a ridosso della contestazione studentesca, che egli considerava il "nuovo populismo", Matteucci, che sarebbe poi diventato uno dei più illustri collaboratori de Il Giornale di Montanelli, scriveva che il liberalismo è diverso dalle altre dottrine politiche non tanto per i suoi contenuti ma per il fatto di doversi reinventare ogni volta nelle concrete situazioni storiche. Il liberale non può impigrirsi perché non può far riferimento a una tavola dei valori scritti in qualche testo e da assumere in maniera dogmatica per sempre. Il liberalismo è, per Matteucci, una continua «risposta a sfide».
Panebianco, in quanto scienziato in senso stretto, e quindi sprovvisto del senso storico del suo maestro, è però rimasto un "liberale della guerra fredda", così come altri liberali, di più giovane generazione, sono restati fermi ad un liberalismo alla Friedman che aveva forse un senso negli anni Ottanta ma pochi ne ha oggi. È per questo motivo, per questo residuo di dottrinarismo antistorico, che Panebianco non riesce a cogliere fino in fondo i veri pericoli che corre oggi la libertà e che vengono dalla omologazione culturale e dalla globalizzazione finanziaria (che ha visto l'adesione della Cina e ne ha favorito l'ascesa), cioè da una parte dalla cultura dei diritti (che non è quella liberale dello Stato di diritto) e dall'altra da quella dei mercati globali (che non è propriamente la cultura dell'impresa che crea ricchezza reale). Il centrodestra, con le sue contraddizioni e spesso il suo dilettantismo ingenuo (che non significa però mancanza di "serietà" come pure è stato scritto in questi giorni), ha colto questo elemento. E forse un liberale, piuttosto che favorire i suoi nemici agitando spauracchi che non hanno molto senso, farebbe bene a lavorare per farlo vincere e farlo poi maturare in una direzione a lui più accettabile.

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