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Giorgia Meloni e l'illusione rossa: l'inciucio della sinistra che non andrà mai in porto

Pietro Senaldi
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In politica i voti sono la materia prima, la benzina indispensabile per guidare la macchina del potere. Siccome il Pd non ha voti, per governare pressoché ininterrottamente negli ultimi undici anni è stato costretto a rubare la benzina agli altri. Ha crocifisso con i processi Berlusconi, cacciandolo dal Parlamento dove oggi rientra riabilitato, per impadronirsi dei consensi azzurri, quindi, dopo la breve parentesi gialloverde, ha preso in prestito i suffragi grillini, cooptando Di Maio ed esautorando Conte. L'ultimo tratto l'ha fatto anche con i voti di Salvini, ma siccome il leader leghista l'ha messa giù dura sul green pass e ha provato a difendere gli interessi dei proprietari di case, dei ristoratori e dei balneari, i dem gliel'hanno giurata e sognano che sparisca per sempre. Operano anche palesemente allo scopo. Il vicedirettore Fausto Carioti illustra oggi su Libero il piano, accennato ieri dal direttore Sallusti, che vedrebbe Renzi burattinaio, tanto per cambiare, visto che nei dem abbondano complottisti e personaggi con il pelo sullo stomaco, ma se serve un regista, bisogna ormai prenderlo altrove. In breve, la bufala dei fondi russi ai politici italiani, lanciata e smentita da Washington nel giro di 48 ore, sarebbe un messaggio al centrodestra presunto vincitore il 25 settembre perché escluda il leader leghista dal governo. Motivo? Quello vero è che rompe le scatole al Pd; quello pretestuoso è che in passato ha avuto buoni rapporti con Putin e che nell'Unione Europea non lo vedrebbero bene, malgrado ormai il vento di destra nel Vecchio Continente soffi al punto che perfino la Svezia ha cambiato colore, mollando il rosso antico.

 


DELIRIO - Nuovi scenari e vecchia sete di potere e solito problema per il Pd: dove trovare la benzina? Il serbatoio di Berlusconi stavolta non basta e pure quello grillino si è svuotato dei due terzi. Peraltro il leader Conte ha detto che, finché Letta resta in tolda, di inciuci neanche se ne parla. I voti, si diceva: dove si prendono a 'sto giro? Pare che senza la Meloni non si vada da nessuna parte, perché la democrazia la si può violentare e già lo si è fatto più volte, ma perfino in casa dem soltanto un po', altrimenti il giochino del potere non legittimato dal voto rischia di rompersi. Ecco allora che, dopo anni di martellamento sul pericolo fascista che Giorgia rappresenterebbe, improvvisamente, alla vigilia del voto, la minaccia dell'orbace viene derubricata dall'agenda rossa. 

 


LA STRATEGIA - Il disegno è fare con Fdi quello che è stato fatto con i grillini, nati contro il Pd e finiti a farsi portare al guinzaglio da Orlando, Boccia e Franceschini. Allo scopo, viene bene giocare sulla rivalità tra Salvini e Meloni e far balenare a Giorgia la possibilità di liberarsi di Matteo, relegandolo di fatto fuori dall'arco costituzionale. Visto da sinistra, il sogno dei compagni di una notte di fine estate, che prelude a un inverno di scontento per gli elettori, è realizzabile. Sul fronte di Fratelli d'Italia, però, l'ipotesi viene presa come un delirio. Se ne ride più che delle barzellette di Berlusconi. La sinistra infatti, vittima della presunzione di superiorità, ha il solito difetto di non studiare e non capire l'avversario. Ignora ciò che a centrodestra tutti sanno: la Meloni non si presterà mai al gioco del governo di solidarietà nazionale, piuttosto si farebbe sbattere all'opposizione anche con il 30% dei voti, anche se gas e inflazione dovessero aumentare ancora e il Covid riapparire. La campagna elettorale di Fdi è stata studiata a lungo e finora è stata eccellente. Una visibilità non cercata ossessivamente, che le consente di surfare sull'onda dei sondaggi senza incappare in incidenti di percorso e una serie di messaggi rassicuranti all'estero che hanno bagnato le polveri degli avversari. Contro Giorgia non è stato portato un solo attacco efficace e la stampa estera, benché sollecitata ripetutamente dalla sinistra italiana, non le si è schierata contro. Perfino Draghi l'ha benedetta pubblicamente come suo possibile successore. La leader ha disinnescato le critiche prima che si formassero, ha mostrato un profilo rassicurante per avere più agibilità politica all'indomani del voto.

 


 

NESSUN COMPROMESSO - Ha fatto tesoro delle esperienze di Berlusconi e Salvini per sfuggire al linciaggio che ha colpito i due negli anni. Questo però non significa che sia disposta a venire a compromessi sulle alleanze, tantomeno a fare inciuci. Se Fdi avrà i numeri, governerà nell'alveo del centrodestra, dopo che tutti gli hanno riconosciuto preventivamente il diritto a farlo. Altrimenti, si farà cacciare per tornare all'opposizione con le mani immacolate e l'anima invenduta, in attesa del giro successivo. Un po' come fece Berlusconi nel gennaio 1995, quando aveva la forza di lasciare il governo se gli levavano il pallino, incassando così alle elezioni successive un premio dagli elettori e non una bocciatura. È una questione di calcolo politico, ma anche di carattere. la Meloni è leader razionale e capace di accordarsi, ma fredda rispetto al potere e non condizionata da altri interessi.

 

LA STRATEGIA - Quanto al tentativo di staccare Fdi dalla Lega, per isolare Salvini all'opposizione, è pura fantapolitica, destinata al fallimento per quattro ragioni. La prima è perché la Meloni è politica troppo esperta per tradire alla prima occasione le aspettative di milioni di elettori, che, vincendo pregiudizi e diffidenza, si stanno per rivolgere a lei. La seconda è che Giorgia non regalerà mai a Matteo il privilegio di guidare l'opposizione da solo, che per il leader della Lega sarebbe un tonificante straordinario. La terza è che una buona parte della Lega non si farebbe confinare con Salvini, ma piuttosto riposizionerebbe il Carroccio, visto che la politica non è solo truppe parlamentari. Giorgia poi sa che nei territori il voto leghista sarà sempre importante per il centrodestra e in parte inespugnabile da Fdi; chi vuol guidare la coalizione quindi non può prescindervi né deluderlo. La quarta è una ragione valoriale e personale insieme. Strategicamente la Meloni sa che fare accordi con la sinistra significherebbe per lei compiere il primo passo perla fine della propria leadership nel partito. Personalmente, dopo una vita in salita controcorrente, non si perdonerebbe mai una scelta di comodo in contraddizione con se stessa. 

 

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