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Marche, la sinistra infanga Giorgia Meloni: "Il modello FdI"

Alessandro Giuli
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L'alluvione di due giorni fa non ha ancora completato l'opera di lutto e macerie, con dispersi da rintracciare e nuovi allarmi in vista, ma il circo politico-mediatico delle sinistre ha già individuato il colpevole naturale: il "modello Marche", raccontato come un misto di trascuratezza e ideologia regressiva e personificato dal presidente Francesco Acquaroli di Fratelli d'Italia. Qui si disvela subito la cultura del sospetto giustizialista e soprattutto la dottrina della doppia verità comunista.

Passi per le reazioni a caldo dei sindaci d'ogni colore alle prese con la calamità naturale, o per le inevitabili recriminazioni impolitiche delle vittime («dove eravate ieri sera?»), ma l'irresistibile tentazione di buttarla in cattiva politica induce taluni avvoltoi progressisti a titolare sulla Regione "che taglia sulla sicurezza" (Repubblica di ieri) e traccheggia sull'apertura dei cantieri per la messa in sicurezza idrogeologica.

 

Al netto di possibili, personali e non ancora evocate responsabilità penali, la risposta all'accusa esiste già e si articola su due livelli: gli scienziati parlano di eventi fulminei simili ai terremoti e imperscrutabili a breve distanza temporale, al punto tale che secondo Bernardo Gozzini del Cnr (Istituto di Biometeorologia) «il nubifragio avvenuto nelle Marche era stato previsto in Toscana»; mentre gli osservatori onesti rilevano che «il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici è in un cassetto dal 2018, in un periodo in cui hanno governato tutti tranne FdI» (Ferdinando Cotugno sul quotidiano Domani, ma anche Angelo Bonelli dei Verdi). Se poi si volesse restringere il cono di luce a livello locale, non è così difficile notare come Acquaroli si sia insediato soltanto due anni fa in una regione che dal Dopoguerra in poi ha rappresentato una riserva elettorale del cattocomunismo centroitalico e dal 1970 al 2020 è stata governata da democristiani e postcomunisti (con due biennali interregni socialisti). Dunque, di che parliamo quando parliamo di cattivi modelli?

Il governatore, che ha richiesto a Roma lo stato d'emergenza e stanziato 5 milioni di euro per le prime necessità, si augura senza troppa convinzione che «questo evento drammatico non venga ricondotto alle elezioni politiche perché è un momento molto particolare per la nostra comunità...».

 

DALL'UMBRIA ALLA PUGLIA
Discorso analogo si potrebbe fare per l'Umbria ora governata dal centrodestra dopo mezzo secolo di monocolore comunista, anch' essa afflitta in queste ore da bombe d'acqua distruttive che non conoscono confini, dove la governatrice Donatella Tesei ha invocato lo stato di calamità nazionale.

Ogni allagamento urbano con vittime provoca l'inevitabile attivazione delle procure con indagini che spesso si chiudono con archiviazioni. Sul dramma dell'entroterra marchigiano la procura di Ancona ha aperto un fascicolo che, almeno per ora, non contempla soggetti indagati. Attenzione, però: quando il populismo meteorologico diventa la nuova frontiera dei processi politici, nessuna classe dirigente può mai dirsi al sicuro. A prescindere dalla propria colorazione.

Il precedente più eclatante riguarda l'alluvione genovese del 2011 per la quale l'ex sindaca piddina Marta Vincenzi ha patteggiato 3 anni di pena (disastro e omicidio colposo), e anche il pentastellato Filippo Nogarin è stato rinviato a giudizio con le stesse accuse all'inizio di quest' anno per l'alluvione di Livorno del settembre 2017. Notevole anche la vicenda della Puglia immensa e rossa governata da Michele Emiliano, allagata dal Gargano al Salento nel luglio del 2021 e colpita da cementificazione e abbandono certificati dalla Coldiretti: nell'arco temporale di una generazione (circa 25 anni), è scomparso oltre 1 terreno agricolo su 4 (-28 per cento), 500 ettari di campagne soltanto nel 2021.

Quanto al rischio alluvionale su macroscala, a proposito di Regioni modello, le statistiche nazionali ci dicono che la zona più esposta è l'Emilia Romagna con una popolazione potenzialmente esposta pari al 62,5 per cento. Spesso tuttavia si è costretti ad ammettere l'esistenza di fatalità che non hanno nulla a che vedere con il consumo del suolo e le varie negligenze gestionali sul territorio. In altri casi i disastri atmosferici hanno invece confermato o inaugurato cicli di leadership politiche di prima grandezza. 

ESPERIENZA TEDESCA
Come insegna l'esperienza del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder che nel 2002 affrontò con inaudita bravura la catastrofe alluvionale del secolo nell'est della Germania (Katastrophe des Jahrhunderts) e ottenne una rocambolesca riconferma contro il favorito Edmund Stoiber. E come è avvenuto al tre volte governatore del Veneto Luca Zaia, la cui carriera da migliore amministratore locale italiano cominciò con la terribile alluvione del novembre 2010. A voler essere pignoli, come più volte ha rilevato sul Foglio il direttore dell'Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni, Stefano Cianciotta, si dovrebbe al limite chiamare in causa il blocco di potere che dal 2008 al 2019 (sette annidi Partito democratico nelle stanze dei bottoni) ha ridotto di oltre un terzo gli investimenti pubblici con l'obiettivo di contenere la spesa corrente a danno della messa in sicurezza dell'argine dei fiumi. Per non dire della cancellazione della Struttura di missione sul dissesto idrogeologico avvenuta nel 2018 per volontà del Movimento Cinque stelle. Tutto ciò nell'Italia in cui 8 milioni di persone vivono in aree a rischio alluvione e frane, ma non certo da due giorni.

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