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È democrazia solo se governa la sinistra: la vergogna in campagna elettorale

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Iuri Maria Prado
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Il tormentone sul pericolo fascista è orchestrato in base a un pregiudizio molto più profondo rispetto al pretestuoso timore che il Parlamento finisca ricolmo di camicie nere (o "camice" nere, secondo la grammatica della stampa colta). La sloganistica antifascista, infatti, sventola sul tronco di una pretesa inestirpabile, e cioè che l'assetto democratico del nostro ordinamento civile e politico è garantito a patto che a presiederlo sia quella sinistra: e, per converso, che la tenuta di quell'assetto sarebbe necessariamente pregiudicata da qualsiasi avvicendamento che quella sinistra vedesse estromessa.

 

 

E naturalmente non importa quel che fa, quali leggi approva, con chi si allea il presidio di sinistra: affinché sia garantita la fermezza democratica del Paese, basta che ci sia. E così, durante un governo progressista, può capitare che una tinozza con 120 migranti sia speronata, e ne morirono affogati 108, ma allora si trattava di garantire la sicurezza dei confini e andava bene, senza necessità di processi ai vertici politici che ordinarono quel blocco navale. Può capitare, e se al governo c'è la sinistra è tutto okay, che le alleanze democratiche implichino la presenza d'un paio di sottosegretari in abitudine antisemita, però guai se in un sottoscala del fronte avverso c'è un citrullo che colleziona gagliardetti.

 

 

Può capitare che la meglio gioventù progressista devasti i banchetti elettorali della destra pericolosa, ma quel che importa è organizzare le giornate contro l'odio (quello degli altri). Può capitare che scappi un mazzo di candidature che accomuna il Paese degli ebrei al Sud Africa dell'apartheid, ma sono responsabilità che si assolvono nell'adempimento del dovere di difesa della Costituzione nata dalla lotta contro il nazifascismo (e sono seri, serissimi, quando lo rivendicano). È come il voto, la democrazia (il voto, quello che se non va a sinistra è "rubato"): cosa loro. 

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