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Draghi umiliato all'Onu: mentre lui parla... la foto della vergogna

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Daniele Dell'Orco
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Poche ore dopo aver ricevuto in pompa magna il premio come "Statista dell'anno" al Pierre Hotel di New York, Mario Draghi si è presentato ieri per parlare di fronte all'Assemblea Generale dell'Onu. Ad ascoltare lo statista dell'anno non c'era nessuno. Di fronte a una malinconica sala vuota che attendeva le 16.30 locali e l'intervento del presidente Usa Joe Biden (in questo caso stracolma) in risposta all'annuncio della mobilitazione parziale fatto da Putin, si sono materializzate in un colpo solo due consapevolezze.

La prima è che il prestigio e l'appeal internazionale di Super Mario, e per estensione quello dell'Italia tutta, sono dei miti. Nei palazzi in cui far sentire la voce dovrebbe contare qualcosa, il nostro Paese è afono. Persino se le corde vocali sono quelle dell'incensato Draghi, a cui la Comunità Internazionale invia continui messaggi di stima, apprezzamento e pacche sulle spalle, come se gli fosse ancora grata per quel "whatever it takes" di dieci anni fa.

 

 

APPEAL NON ALL'ALTEZZA - Da leader di un Paese del G7, però, il suo appeal non si è rivelato all'altezza della nomea. All'Onu ha difeso le scelte fatte fin qui dall'Italia a sostegno dell'Ucraina, pur consapevole del fatto che il nostro Paese e il suo governo sulla questione si sono pronunciati poco, tardi (la crisi è esplosa quando c'era la corsa al Quirinale) e limitandosi ad approvare le scelte di Bruxelles (dove le proposte del premier come il tetto al prezzo del gas sono ancora in divenire dopo 7 mesi). Draghi, comunque, ha detto: «Aiutare l'Ucraina a proteggersi non è stata soltanto la scelta corretta da compiere. È stata l'unica scelta coerente con gli ideali di giustizia e fratellanza che sono alla base della Carta dell'Onu e delle risoluzioni che questa Assemblea ha adottato dall'inizio del conflitto».

Ecco, la seconda consapevolezza riguarda proprio questo: le Nazioni Unite e le sue carte. L'incapacità da parte dell'Onu di risolvere i contenziosi e prevenire, o all'occorrenza impedire, che addirittura uno dei membri del suo Consiglio di Sicurezza possa intraprendere un'azione militare contro un altro Paese getta non poche ombre sul suo status.

 

 

ORGANISMO INGOLFATO - Se lo chiese anche il presidente Zelensky, che in un messaggio drammatico dell'aprile scorso rimproverò l'Onu per non aver preso le parti di Kiev e lo invitò a «cambiare oppure sciogliersi». L'organo sovranazionale di parti non dovrebbe prenderne, per carità. Ma lavorare in modo efficace per la pace e per la risoluzione dei contenziosi questo sì. E non ci sta riuscendo. Gli unici tentativi di mediare tra i due Paesi li ha condotti autonomamente la Turchia, e a dir la verità senza l'iniziativa di un singolo l'Onu non ha nemmeno gli strumenti tecnici per lavorare per la pace: se i membri del suo Consiglio di Sicurezza, dotati di potere di veto, confliggono gli uni contro gli altri, allora lo stesso Palazzo di Vetro non diventa altro che il medesimo campo di battaglia dislocato a New York. Senza spinte positive e, talvolta, senza nemmeno dibattito, come quando a inizio marzo diplomatici e ambasciatori lasciarono in massa l'aula del Consiglio per i diritti umani dell'Onu a Ginevra quando il ministro degli Esteri della Russia Lavrov prese la parola.

Il peccato originale dell'Onu sta appunto nella sua ingolfata democratizzazione che lo condanna all'immobilismo, ed è accompagnato dalla mancanza dell'istituzione di un serio diritto penale internazionale a cui tutte le grandi potenze, Russia e Usa comprese, accettino di sottoporsi. Con la guerra in Ucraina e la prospettiva di un nuovo conflitto mondiale, queste mancanze si stanno palesando tutte. 

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