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Pd, "sciogliere il partito": voce pesantissima, terremoto in arrivo

Elisa Calessi
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«Questa volta il rischio», ammette un dirigente dem, «è l'implosione». Non è la prima volta che il Pd, e prima di lui l'Ulivo, i Ds, il Pds, si sono trovati davanti a una sconfitta pesante. Ma a questo giro, ammette chi conosce la ditta, «rimettere insieme i cocci» sarà più difficile. Non si esclude, insomma, una scissione. Non tanto a sinistra. Quanto, questa è la novità delle ultime ore, al centro. Una fuga dei riformisti verso il Terzo Polo. 

Previsioni, suggestioni. Ma sono ragionamenti che rimbalzano tra le chat dem, dopo una giornata che è cominciata, in apparenza, con un gesto ecumenico: la lettera di Enrico Letta agli iscritti del Pd. Un testo in cui il segretario uscente ammette la sconfitta: «Abbiamo perso. Ne usciamo con un risultato insufficiente». Anche se, aggiunge, «ne usciamo vivi». Propone, quindi, «un vero congresso costituente per una nuova leadership, un nuovo gruppo dirigente e un nuovo Pd». Letta immagina un congresso articolato in quattro fasi, «ma a regole vigenti».

La prima è quella più nuova. «Sarà quella della "chiamata"», spiega Letta. Si tratterebbe di riportare nel Pd quelli che, già in queste elezione, hanno fatto parte della lista Italia Democratica e Progressista, dunque, prima di tutto, Articolo 1 (Roberto Speranza, Pierluigi Bersani), i cattolici di Demos. Ma non si esclude, visto che si tratta di un appello a tutte le forze progressiste, anche i renziani. Ci si rivolge a chi ha fatto parte della lista, ma non solo, perché si iscrivi al Pd e diventi protagonista del nuovo processo.

 

 

IL PREAMBOLO - È un preambolo per allargare il partito. Quindi, comincerà il vero e proprio congresso, con le regole vigenti: la presentazione delle candidature, la votazione tra gli iscritti, poi nei circoli, fino alla fase «delle primarie tra due candidature tra tutte, da sottoporre al giudizio degli elettori. Saranno i cittadini a indicare e legittimare la nuova leadership attraverso il voto».

Sotto la superficie di questo appello, la guerriglia che già si sta combattendo tra le correnti è tra due diverse idee. Agli antipodi. Da una parte c'è l'area che si rifà a Base riformista (Lorenzo Guerini), che da tempo ha scommesso su Stefano Bonaccini, di fatto il nome al momento più forte. Chi tifa per il governatore dell'Emilia Romagna vorrebbe accelerare i tempi. Fare, a regole attuali, un congresso che porti, a febbraio, massimo marzo, all'elezione del governatore. Con le primarie. Una prospettiva condivisa dai lettiani, anche se per loro il candidato non è scontato sia Bonaccini.

Poi c'è l'area più a sinistra (Andrea Orlando, Goffredo Bettini) che vede come fumo negli occhi la candidatura del governatore dell'Emilia Romagna. E, per disinnescarlo, ha solo un modo: giocare sui tempi. Allungarli. Anche perché, a differenza degli altri, non hanno ancora un nome forte da proporre. Ci sarebbe Elly Schlein, ma non convince tutti e comunque ha bisogno di tempo per essere conosciuta. Perciò chiedono, prima di cominciare il congresso vero e proprio, di dare vita a un «processo costituente» che porti a rivedere dalle fondamenta il Pd. Per arrivare a un contenitore più spostato a sinistra, laburista. Poi si parla di nomi. Se dovesse passare questa seconda ipotesi, il rischio, come si dice tra i dem, è di «creare le condizioni perché Bonaccini non si candidi». A quel punto, non si può escludere una uscita di una parte dei dem verso il Terzo Polo.

 

 

 

Si vedrà. Intanto, oggi, la discussione è sulla lettera di Letta. I suoi spiegano che è una spinta a riprendere lo spirito nascente del Pd e a respingere l'Opa ostile di Conte e del Terzo Polo. «Il messaggio», spiegava Enrico Borghi, è di «lavorare per salvaguardare l'esperienza del Pd contro le tendenze liquidatorie. Non dobbiamo spaventarci, né avere ansia di smantellare, ma riformare e allineare il partito con la società».

Ma non tutti la pensano così. Orlando, per dire, parla di fatto «positivo», essendo stato il primo suggerire una «fase costituente». Ma punta a tempi più lunghi e a regole diverse dalle attuali. Per un motivo: manca un nome forte da contrapporre a Bonaccini. «Dobbiamo lavorare affinché sia promosso un processo dal basso in maniera partecipata, coinvolgendo nella discussione e nella definizione della proposta politica l'associazionismo, il volontariato, gli elettori e anche coloro che sono rimasti a casa pur volendo dare un contributo a cambiare le cose».

E IL CRONOPROGRAMMA? - Dalle parti di Base Riformista, subodorando che dietro la richiesta di una fase costituente ci sia un allungamento dei tempi con l'obiettivo di bruciare Bonaccini, si spinge per fare in fretta: «Contenuti e leadership vanno di pari passo. È perciò importante che questo percorso articolato abbia un preciso cronoprogramma, con i tempi certi», osserva il coordinatore dell'area, Alessandro Alfieri. Intanto si sfila Beppe Sala: «Guarderò dall'esterno dando il mio contributo di idee», ha detto il sindaco di Milano. C'è poi chi, come Monica Cirinnà, definisce «gattopardesca» la proposta del segretario, e chi, come la "sardina" Mattia Santori, invita ad aprire il Pd: «Per fortuna c'è ancora gente all'uscio» a cui va aperta la porta, «all'inizio sarà difficile» ma la casa diverrà «via via più bella, più accogliente». Roberto Morassut, che da anni parla di fare una costituente, rilancia la sua antica idea di cambiare nome al Pd e trasformarlo in "Democratici". «Non è né da sciogliere, né da superare, dobbiamo fare quel partito che abbiamo fondato il 14 ottobre 2007 con le primarie», dice Lia Quartapelle. Ci vorrà ancora tempo. Certo è che dietro al dibattito sulle regole si sta già consumando la guerra vera. 

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