Meloni furibonda, il retroscena: l'unico ministro sicuro di non saltare
Da un lato l'orgoglio di Giorgia Meloni per Ignazio La Russa. Per il fatto cioè che i senatori - "oltre" il perimetro del centrodestra - hanno eletto a Palazzo Madama «un patriota, un servitore dello Stato, un uomo innamorato dell'Italia che ha sempre anteposto l'interesse nazionale a qualunque cosa».
Un segnale importante che auspicava già alla prima votazione, data la situazione delicata che l'Italia sta vivendo e che «non consente perdite di tempo». Dall'altro lato vi è la rabbia della premier in pectore per ciò che avvenuto "dentro" il centrodestra: ossia per lo strappo plateale della pattuglia di Forza Italia in Senato nei confronti dell'accordo quadro sulle presidenze. Un gesto - il tentativo azzurro di mandare a vuoto l'indicazione del candidato di FdI a causa dei «no» nei confronti di alcuni desiderata di Silvio Berlusconi - sventato sì dal colpo politico andato in scena nel ramo nobile del Parlamento ma tutt' altro che di facile digestione per la leader dei conservatori e dei suoi.
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DISPIACERE - A microfoni accesi lei per prima non ha nascosto il disappunto: «Per me quello che contano sono i risultati e mi pare che i risultati dicano con chiarezza che sono intenzionata a dare a questa Nazione, se ne avrò occasione, un governo autorevole». Per il resto, ha assicurato Meloni, «non intendo fermarmi di fronte a questioni che sono secondarie». E per questioni secondarie è da intendersi proprio ciò che Berlusconi ha argomentato per "giustificare" l'assenza dei suoi sedici senatori alla seconda chiama: ossia il «forte disagio per i veti» che sarebbero stati espressi dalla leader di FdI in questi giorni riguardo la formazione del prossimo esecutivo.
Non esattamente, racconta a Libero un esponente di primissimo piano di via della Scrofa, ciò che era avvenuto nel bilaterale mattutino fra i due: con il Cavaliere «che se n'era andato salutando calorosamente Giorgia e augurando a La Russa "buon lavoro"». Con la garanzia, dunque, del sostegno azzurro al meloniano per Palazzo Madama. «E invece abbiamo subito l'incomprensibile "non voto"». Tentativo non solo «inutile» ma in casa FdI vissuto con sconcerto. Il senso è questo: come si fa a non rendersi conto del momento che sta attraversando l'Italia occupandosi - al contrario - «di chiedere posti e posizioni»? A maggior ragione in difesa di una «figura come Licia Ronzulli», continua lo sfogo, che i cittadini e gli elettori «tutto stanno facendo eccetto che difenderla»?
La stessa domanda è rimbombata persino dentro Forza Italia, con Antonio Tajani che avrebbe confessato di «non aspettarsi» un incaponimento di Berlusconi sulla Ronzulli (presente in ben tre caselle di governo nella cartella del leader di FI immortalata dalle telecamere) tale «da determinare una potenziale spaccatura del centrodestra chiamato, invece, a governare».
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NOMINE IN BILICO - Una gestione «dissennata» della situazione che è stata affrontata come ordine del giorno nella riunione dei gruppi parlamentari di FdI, riuniti da Meloni una volta conclusa la terza votazione alla Camera. Da qui è emerso un fortissimo nervosismo nei confronti di Forza Italia. Chi c'era spiega al nostro giornale come i senatori meloniani sarebbero così arrabbiati da aver proposto «la sostanziale esclusione degli azzurri da tutti i ruoli». A partire dalle nomine per l'ufficio di presidenza. Non è stata di meno la stessa candidata premier, tentata - come le hanno chiesto in tanti - di rimettere in discussione anche i passi in avanti fatti nei confronti del partito di Berlusconi: ossia di rimescolare tutte le caselle. «È furiosa Giorgia», spiega ancora chi l'ha sentita ricordando «l'ampissimo margine di manovra» che ha lasciato «con generosità» in queste settimane - a partire dai collegi - agli alleati. Gli stessi che «entrati in governi», l'ultimo quello Draghi, «dove non gli hanno fatto decidere nemmeno i ministri che esprimevano».
Ma se la rabbia e la voglia di tirare dritto è tanta, l'orgoglio di aver posizionato un primo tassello (sperando che accada lo stesso oggi alla Camera) e l'urgenza di «dare un governo autorevole» agli italiani starebbero spingendo Meloni e i suoi fedelissimi a cercare l'ultima mediazione: nella speranza, questa la precondizione, che il boomerang di ieri abbia fatto comprendere a Berlusconi & Co «che forzature e ricatti del genere sono inaccettabili».
Ragionando senza bilancini insomma, e chiaramente senza Ronzulli (ipotesi depennata alla fine dallo stesso Berlusconi), su una casella importante come la Giustizia il discorso si potrebbe ancora riaprire: potrebbe tingersi d'azzurro, chissà se proprio con la Casellati. Questo al netto di quelle indicazioni (Esteri per Tajani, Università per Annamaria Bernini o la delega all'Editoria per Barachini) su cui l'intesa non sembrava lontana. Dove invece un accordo è stato già raggiunto - segnale dei buoni uffici intercorsi ieri fra Meloni e Matteo Salvini - è sulla casella più attenzionata di tutte: il ministero dell'Economia. Ruolo che - quando e se la leader di Fratelli d'Italia riceverà l'incarico dal Colle - sarà ricoperto da Giancarlo Giorgetti.