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Pnrr, spreco clamoroso: cosa sta succedendo nei Comuni

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Claudia Osmetti
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"Bolla" Pnrr. Nel senso che, qui, le risorse mica ci mancano. Ce le mette l'Europa, e sono soldi sonanti. Solo che, se non riusciamo a gestirle al meglio, può pure finire che ci ritroviamo in brache di tela. Con un mercato, come quello di internet, che rischia di scoppiare perché da un lato abbiamo troppi fondi da investire e dall'altro di vincoli ce ne sono molto meno. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (il Pnrr, appunto) stanzia due miliardi di euro per la transizione digitale degli enti locali e, in questi due miliardi, sono previsti più di 800 milioni (sempre di euro) per il rifacimento dei siti web dei Comuni. Detto così uno si sfrega le mani, ché già s' immagina la Silicon Valley al Municipio del paese, ma poi la realtà è diversa perché primo) è già partita la corsa ai click per almeno il 43% delle amministrazioni italiane e secondo) il rischio è che i prezzi si gonfino a dismisura non solo per loro, per i Comuni, ma proprio per tutti. Anche per i privati.
 

TARIFFE DIVERSE Il lavorone di comparazione (cifre, tabelle e importi) l'ha fatto il giornale on-line Il Post (www.ilpost.it): spulciare per credere. Grazie al meccanismo dei voucher, i Comuni più piccoli, quelli con meno di 5mila abitanti, possono arrivare a incamerare quasi 80mila euro (79.922, per la precisione) solo rifacendo il proprio portale nel www e con l'aggiunta di quattro (è il limite massimo) servizi attivabili. Per servizi s' intende, giusto per capirci, il canale di pagamento delle tasse in virtuale o quello per la richiesta di un permesso di entrata nella Ztl. Operazioni che nella stragrande maggioranza dei casi facciamo anche oggi, ma spesso con procedimenti farraginosi (manda una email, aspetta la risposta, passa per il call-center) e, diciamoci la verità, nel 2022, prescindere dalle app e dalla velocità della rete significa stare fuori dal mondo. Però serve anche un po' di senso della misura.
Invece, secondo i bandi del Pnrr, ai Comuni che hanno 20mila abitanti spetterebbero più di 51mila euro per rifare il sito internet e alle cittadine con oltre 250mila residenti viene concesso mezzo milione (500.243 euro, al centesimo) nonché altri 77.684 euro per ognuno dei quattro servizi di cui sopra che possono implementare.
Totale, qualcosina in più di 800mila euro.

Ora, signori, siamo onesti (ché serve anche un po' di onestà, quantomeno intellettuale): 800mila euro per un sito internet è uno sproposito. È vero, va fatto a puntino. È vero, vanno garantiti livelli di sicurezza alta perché i dati che trattano i Comuni (come quelli dell'Anagrafe) fanno gola agli hacker (e il cielo ce ne scampi). È vero tutto quello che volete: ma 800mila euro sono una voce in bilancio che certe amministrazioni non hanno mai visto manco col binocolo. Di che stiamo parlando?

 

Stiamo parlando, fa sempre notare Il Post, del fatto che, ma è solo un esempio, il Comune di Settimo Torinese (che in Piemonte ha 45mila anime) ha ricevuto un appalto di 280.932 euro per rifare un sito che, tra l'altro, aveva inaugurato il 13 settembre del 2021, cioè un annetto fa, e che gli era costato, allora, appena 22.900 euro. Più di dieci volte di meno. E questo apre un altro scenario, se vogliamo ancora più "impattante", come va di moda dire adesso. Perché tocca le tasche di ognuno: e chi è che, vuoi per lavoro vuoi per vanità vuoi per quel vuoi, non si riversa in rete, al giorno d'oggi? «Il mercato dei siti internet è molto ampio, perché ci sono le agenzie, ci sono i freelance e ci sono anche i privati che si cimentano in proprio», racconta Paolo, che di professione fa proprio quello, il web-designer.
 

 

MERCATO "DROGATO" Le sue giornate, Paolo, le trascorre davanti a un computer, sommerso da codici html e infografiche: «Ovviamente dipende dall'esigenza del cliente, ma un'azienda medio-grande, con un range che va da 5mila a 50mila euro, riesce a ottenere una buona soluzione, dove con 50mila c'è davvero un'attenzione massima ai dettagli». Cinquantamila euro contro 800mila. Il conto fatelo voi. «Il pericolo, ma in verità si sta già verificando», continua Paolo, «è quello di ritrovarsi in un mercato "drogato", con un listino di prezzi "gonfiati", un po' come è successo con il bonus 110% nell'edilizia». Ché fino all'altro ieri bussavi alla porta di una ditta che implementava siti internet e ti chiedeva qualche migliaio di euro, e ora, dato che lavorare per le pubbliche amministrazioni conviene di più, te ne chiedono tre volte tanto. È un paradosso, alla fine. Il paradosso del Pnrr: e chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo lamentati perché di investimenti ce ne sono persino in eccesso?

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