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Alessandro Profumo sul governo: "Dalla destra mi aspetto ordine"

 Alessandro Profumo

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«Nella mia vita ho perso troppi anni nella finanza. Noiosissima in confronto all'industria».

Ora volano nubi basse sia sulla finanza sia sull'industria...
«Momento difficile ma gli ultimi dati Istat sull’Italia sono meno peggio di come me li aspettavo. La domanda interna tiene anche grazie all’elevato livello di risparmio degli italiani. Crescono le difficoltà delle fasce deboli e di alcuni comparti economici maggiormente esposti al prezzo dell’energia. Verso costoro bisogna trovare delle risposte concrete per affrontare questo periodo».

Quanto potremo reggere con queste bollette?
«La guerra ha un prezzo altissimo. Non possiamo andare avanti così ancora molto, è urgente pensare a una soluzione e giusto intavolare trattative di pace».

Le bollette però hanno iniziato a salire prima che i fucili sparassero in Ucraina...
«Sì, è il costo del riassetto dell’industria energetica avviato oltre un decennio fa, con l’introduzione delle fonti rinnovabili di nuova generazione e con l’accelerazione verso la transizione ecologica ma la guerra sta avendo il suo peso». Mi sta dicendo che è stato un rincaro cercato, per spingere l’economia verde? «Non cercato ma prevedibile, forse previsto, poi il conflitto sta portando la situazione fuori controllo, dando spazio anche ad alcune azioni speculative da parte di alcuni Paesi che possono godere di vantaggi importanti per la presenza delle fonti energetiche».

Abbiamo gettato il cuore troppo oltre l’ostacolo, cadendo nella trappola dell’ideologia?
«In Italia non ci preoccupiamo quasi mai di organizzarele cose prima di partire».

Consigli per il prossimo governo di centrodestra?
«Detesto chi dispensa ricette, preferisco descriverle la situazione. Avremo due anni durissimi, molte imprese chiuderanno e si dovranno prendere decisioni importanti sull’allocazione delle risorse perché il governo non le avrà per aiutare tutti. Sforare il bilancio non è il caso, interventi a pioggia come in Francia e Germania non sono possibili».

E quindi, cosa si fa?
«Si dovrà scegliere. Per le famiglie è facile, si aiuta chi è più povero. Quanto alle imprese, occorre una strategia di lungo periodo: l’Italia ha settori fortissimi, non solo la manifattura, eccellenze mondiali che possono trainare l’economia, vanno sostenute quelle. E in più, come ci ha insegnato la pandemia Covid e l’attuale situazione internazionale bisogna presidiare quelle produzioni in grado di garantire la sovranità del Paese sotto ogni circostanza».

Un’Italia autarchica?
«Non intendo assolutamente questo, però forse siamo stati troppo economicisti, anche se con questa affermazione contraddico in parte la mia storia: quando le industrie fanno le loro strategie non devono badare solo alla massimizzazione del profitto ma anche ai ricaschi geopolitici e sociali delle loro scelte. Insomma, non dobbiamo dipendere troppo dagli altri».

Quando parla di aiuti e di scelte pensa all’industria della Difesa?
«Noi abbiamo contratti a lungo periodo e al momento possiamo tenere, ma tutto il nostro indotto? I fornitori presto saranno costretti ad alzarci i prezzi e allora perdi competitività nel mondo».

Dovremo finanziarele industrie chiamate a realizzare il Pnrr...
«Anche lì si dovrà scegliere. Siamo sui blocchi di partenz ama la macchina è lenta e costosa da avviare. Per costruire autostrade o ferrovie occorrono decine di migliaia di assunzioni, anche fisicamente non si possono fare in un attimo. C’è anche un tema di formazione e competenze che mancano al nostro Paese».

 

 

Dal settimo piano della palazzina di piazza Monte Grappa, con vista a 360 gradi su Roma, e di quasi sei anni di risultati più che eccellenti alla guida di Leonardo, Alessandro Profumo si definisce «preoccupato ma non troppo». Per l’ex banchiere, ormai manager di industria, «ha da passare la nottata», anche se però due anni sono i tempi di una nottata artica. «Nel 2025 ci sarà un’impennata - scommette, - come dopo il Covid, anche se le bollette hanno tagliatole gambe alla ripresa». E anche la transizione verde può offrire occasioni «ma a patto di investire e bene; con alcune accortezze ed investimenti si può risparmiare anche il 30% di consumi; è antipatico dirlo ma il rincaro dei prezzi deve anche essere un’occasione per rivedere i conti e tagliare gli sprechi, quelli energetici non sono pochi».

La Meloni sostiene che è il momento peggiore per assumere la guida del Paese...
«Ma è anche un’occasione...».

Lei che gira il mondo può dirci se sono davvero spaventati all’estero?
«No. Io credo che il governo si farà e durerà e che la destra potrà dare un contributo nuovo».

Quale?
«L’ordine, il rigore, che sono valori tradizionalmente di destra. Oltre a un certo pragmatismo».

Quindi avanti i politici e vade retro i tecnici?
«La guida deve essere politica, i tecnici coadiuvano secondo le loro competenze».

La politica quindi non l’ha delusa?
«Il solo posto dove davvero servirebbe un tecnico al governo è il ministero della Pubblica Amministrazione, settore che va razionalizzato e dal quale dipende l’efficienza del Paese, tra cui anche la messa a terra del Pnrr».

La premier in pectore ha sondato a lungo dei tecnici per il ministero dell’Economia senza ricevere risposte entusiaste. Diffidenza verso la destra?
«Penso piuttosto che si stiano raccogliendo i frutti bacati del populismo. I tecnici guadagnano molto e il governo a un ministro non parlamentare offre novantamila euro. Bisogna essere dei pensionati o dei missionari».

E Draghi dove lo mettiamo?
«Non spetta certo ame, però mi lasci dire che l’Unione Europea sconta una inadeguatezza di leadership che è invalidante. Avevo sperato che la Merkel avrebbe guidato la Commissione, ma... Vedremo cosa decideranno i Paesi nel 2024, quando la Von der Leyen e Michel scadranno».

Lei è fortemente europeista?
«Da soli non si va molto lontano».

La guerra e la crisi delle bollette hanno dimostrato che l’Europa è una sovrastruttura poco efficace più che un Super-Stato proattivo...
«Le leadership possono fare molto, in male o in bene, come ha dimostrato Draghi alla guida della Bce».

Però forse introdurre qualche correttivo democratico aiuterebbe l’Europa a essere più vicina alle popolazioni e più presente sui problemi contingenti...
«Vedo che c’è un forte dibattito politico in corso, sicuramente a qualcosa porterà. Non dimentico che quando la Ue provò a dotarsi di una carta costituzionale, che sarebbe stata il fondamento giuridico e valoriale dell’Unione, la Francia si oppose».

 

 

Lei si augura una difesa comune della Ue?
«Dal mio punto di vista la cosa fondamentale è rafforzare l’industria della difesa con sinergie crescenti sulle piattaforme. Bisogna convergere su requisiti comuni – pensi al progetto Eurofighter - per realizzare prodotti e sistemi omogenei, indirizzando in questo modo la spesa per la Difesa su un sistema interconnesso. In questo modo gli investimenti in Ricerca e Sviluppo si rivelerebbero più efficaci portando benefici all’intera filiera dell’innovazione dalle Università ai centri di ricerca fino alle imprese e tutto l’indotto produttivo e commerciale».

Per Leonardo tutto questo come si concretizza?
«Come Leonardo investiamo annualmente circa 1,8 miliardi per sostenere questa filiera. Abbiamo un ecosistema dell’innovazione che interconnette le nostre Università e centri di ricerca che impegna solo da parte di Leonardo 9600 persone. Sono professionalità di altissima qualità che innescano i processi di innovazione. A valle di questo processo ci sono più di quattromila aziende (80% PMI) con oltre 126 mila addetti, che generano un valore di 10,4 miliardi di euro. La sfida che stiamo affrontando oggi è la digitalizzazione del sistema manifatturiero, vincerla vuol dire mantenere la competitività del Paese nel mondo della competitività basata sui costi».

Per questo un anno fa Leonardo ha acquistato il 25,1% della tedesca Hensoldt, specializzata nella produzione di sensori per la difesa e la sicurezza?
«La Germania potrebbe diventare un interlocutore privilegiato per l’Italia nel campo della difesa. È un Paese, inoltre, che potrebbe agevolare il superamento della logica del bilateralismo nel contesto europeo. L’Europa della difesa non può prescindere da una visione condivisa anche con gli altri Paesi a partire dalla Francia, che, in quest’ambito e non solo, gioca un ruolo fondamentale».

Il governo deve ancora formarsi e già c’è un calendario di proteste più fitto di quello del campionato italiano. Teme scontri di piazza o una propaganda anti-Meloni.
«La tenuta del governo dipenderà dal governo».

Conte evoca la rivolta sociale in caso di eliminazione del reddito di cittadinanza, lei cosa pensa?
«Se il reddito di cittadinanza fa concorrenza al lavoro, come dicono certi imprenditori, è perché gli stipendi sono troppo bassi e il lavoro che viene offerto non è qualificante».

Il capo della più grande industria italiana che critica gli imprenditori?
«Non li critico, ma trovo una certa politica confindustriale ferma agli anni Settanta. L’imprenditore deve fare il suo lavoro e battersi perché lo Stato lo metta in condizioni di farlo, razionalizzando e semplificando il sistema. Se si mette solo a battere cassa, oltre al reddito di cittadinanza avremo anche il reddito di impresa. L’industria gioca un ruolo fondamentale per la sostenibilità di lungo periodo di un Paese. Le grandi aziende come Leonardo devono assumersi questa responsabilità».

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