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Pd, primo passo verso la scissione: chi esce dal partito

Elisa Calessi
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E alla fine lo spettro che tutti temono- e che periodicamente si abbatte sui partiti della sinistra- è tornato ad aggirarsi: la scissione. Non nelle chiacchiere da Transatlantico, ma nelle parole di uno dei suoi più importanti dirigenti. Uno di cui si parla come possibile candidato al congresso del Pd (quello che, come Godot, tutti aspettano, ma non arriva mai): il sindaco di Firenze, Dario Nardella. «Se noi non troviamo una base comune di valori tra posizioni diverse che in questi anni si sono manifestate nel nostro partito, noi possiamo anche rischiare una scissione», ha detto, parlando all'Associazione della Stampa Estera dove è andato per presentare il suo nuovo libro La città universale.
«Per evitare una scissione», ha proseguito, «dobbiamo costruire un perimetro di valori ed ideali nei quali ci riconosciamo tutti». Il problema, ha spiegato, non è quale leader scegliere. Ma se, una volta scelto il leader, c'è ancora il Pd: «In troppe occasioni mi è capitato di parlare con compagni e amici di partito che dicono "se vince Tizio io me ne vado, se vince Caio io me ne vado". Ma secondo voi si può fare un congresso così?

Rischiamo una scissione peraltro alimentata dalle pressioni esterne, diciamo le cose come stanno». Dove le "pressioni esterne" sono il Terzo Polo da una parte, il M5S dall'altra. Del resto il rischio si sta già concretizzando, sia pure alla chetichella. Ieri Giusi Ferrandino, eurodeputato, ha lasciato il gruppo dem per aderire a Renew Europe, il gruppo del Terzo Polo a Strasburgo. «È una scelta sofferta ma ormai non mi riconosco più nel Pd: incapaci anche di riconoscere la sconfitta delle politiche», ha detto annunciando il suo addio. «Mi ero illuso che dopo la sonora sconfitta alle politiche ci sarebbe stato uno scatto di reni, una reazione orgogliosa di rilancio».

 

 

 

LE DEFEZIONI

Invece, «si è preso tempo, impantanando tutto». Prima di lui, nei giorni scorsi, aveva lasciato il Pd, per aderire a Italia Viva, il consigliere comunale fiorentino Barbara Felleca. E altri, nel consiglio regionale toscano, potrebbero seguire il suo esempio. Si parla di almeno tre dem pronti a passare con Renzi e Calenda. Anche chi rimane, riconosce che si sta allegramente ballando sul Titanic, diceva l'altro giorno uno sconsolato Matteo Orfini in Transatlantico. «L'opposizione potrebbe essere rigenerante, lo spazio ci sarebbe, ma bisogna esserci, avere qualcosa da dire. Se aspettiamo marzo per fare il congresso, rischiamo di non arrivarci». Teoricamente si potrebbe anticipare. «Tutto è possibile se si vuole», si dice tra idem. E Letta non sarebbe contrario. Ma dovrebbe scontentare Dario Franceschini e Andrea Orlando che, ancora in cerca di un candidato da opporre a Stefano Bonaccini, chiedono tempo.

 

 

 

Nel frattempo, c'è un problema non piccolo: decidere chi candidare alle regionali in Lombardia e in Lazio. E in entrambi i casi, il Pd è nel pallone. Il rischio è che si replichi lo schema delle politiche, con l'opposizione divisa in tre e il Pd stritolato nel mezzo. In Lombardia, si brancola ancora nel buio. Sfumata la carta Cottarelli, i dem sembrano orientarsi verso primarie di coalizione. La squadra prevede Vittorio Agnoletto (il fu leader del movimento che, venti anni fa, contestò il G8 di Genova) e, per il Pd, Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, più altri esponenti dem (si parla di Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Marana). Non va meglio nel Lazio. Oggi Alessio D'Amato, assessore alla Sanità della giunta Zingaretti, scende in campo sostenuto da Terzo Polo e da un pezzo del Pd. Perché l'altro pezzo (più Sinistra Italiana e Verdi) ancora spera nel matrimonio coi grillini (nonostante la portain faccia sbattuta da Giuseppe Conte). Se le nozze si rivelassero, come ora è, un sogno, non è escluso che un pezzo della sinistra (e dei dem) vada con il M5S. Lo ha lasciato intendere Nicola Fratoianni, leader di SI, che ieri, a domanda su cosa faranno se non dovesse esserci alle Regionali un'alleanza Pd-M5S, ha detto che «nulla è scontato»: «Alle politiche, ha detto, «c'è stata un'alleanza elettorale con il Pd» ma ora «quella fase si è chiusa e si riparte da zero. Punto e a capo». E il punto a capo, per il Pd, rischia di essere l'esito di cui parla Nardella. Ma non una, bensì due mini-scissioni: verso il Terzo Polo e verso il M5S.

 

 

 

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