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Pd, il paradosso: a metà tra forca e garantismo

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Fabrizio Cicchitto
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Caro direttore, ancora una volta nella vita politica italiana si crea una situazione paradossale. Nel lontano passato, ma anche in quello relativamente più recente fino a fine anni '80, il garantismo era un tratto caratteristico della sinistra e il giustizialismo della destra, con il centro democristiano che mediava. In modo paradossale e contraddittorio, questo garantismo fu espresso anche dal Pci. Un centro garantismo contraddittorio caratterizzò infatti Palmiro Togliatti, che da ministro della giustizia propose e fece realizzare un'amnistia che riguardò sia i partigiani che i combattenti della Repubblica di Salò. Certamente il garantismo di Togliatti era contraddittorio perché esso riguardava l'Italia, ma non si estendeva né all'Urss né agli altri Paesi comunisti dell'Est.

Questo tipo di divisione durò fino agli anni fatidici '92-'94. Da allora, fu proprio il Pds a diventare la quintessenza del giustizialismo. La ragione non è stata solo ideologica, ma pratica e concreta: allora il finanziamento irregolare dei partiti fu lo strumento attraverso il quale quello che fu chiamato il "circo mediatico-giudiziario" costituito dal pool del pm di Milano e dai direttori di 4 giornali (Corriere della Sera, Repubblica, la Stampa, l'Unità) rase al suolo la Dc, il Psi, i 3 partiti laici e salvò il gruppo dirigente del Pds con il pretesto che "poteva non sapere", malgrado che il finanziamento del Pci fosse il più irregolare fra tutti perché comprendeva tutte le voci possibili: quello proveniente dal Pcus, quello delle cooperative rosse, quello delle società di import-export, quello dei privati che lavoravano nelle regioni rosse. Da allora il giustizialismo ha costituito il tratto caratteristico del maggior partito della sinistra, dopo il Pds e la Margherita anche del Pd.

 

 

 

LA SORPRESA

Orbene una delle sorprese più rilevanti del governo Meloni è costituito dal fatto che a essere nominato ministro della Giustizia è l'ex magistrato Nordio, garantista da sempre, anche quando era magistrato, e proprio nei confronti del gruppo dirigente del Pci-Pds. Nordio è rimasto tale anche adesso e così mette in questione proprio i capisaldi del giustizialismo: l'uso sfrenato delle intercettazioni usate anche per "sputtanare" le persone, l'arresto per ottenere le confessioni e infine la denuncia del fatto che la carriera unica tra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti è contraddittorio con una paritaria dialettica processaria fra difesa e accusa. Secondo Nordio lo sdoppiamento delle carriere metterebbe sullo stesso piano accusa e difesa. Questa presa di posizione sta provocando un'autentica crisi di nervi sia nell'Anm, sia in alcuni giornali come Il Fatto e Repubblica, sia nella sinistra.

 

 

 

Dopo il 25 settembre una parte della sinistra ha affermato che l'avvento della Meloni alla guida del governo si sarebbe tradotto in una sostanziale affermazione del fascismo. Adesso la sinistra si trova di fronte ad un ministro della Giustizia che invece colpisce i tratti più illiberali dell'ordinamento giudiziario e che, pur essendo un ex magistrato (forse per questo), mette in discussione proprio i capisaldi del potere non solo giudiziario, ma politico, che la magistratura associata (Anm e Csm) ha conquistato dagli anni '90 a oggi e che ha sempre favorito in vari modi il Pd. Di conseguenza la reazione è violentissima, sia da parte dell'Anm, sia degli organi di stampa del giustizialismo (Repubblica) e del grillismo (Il Fatto), mentre il Pd oscilla fra opposizione e imbarazzo. Quest'ultimo ha sostenuto di essere diventato il partito riformista per eccellenza. È molto arduo però combinare riformismo e giustizialismo, mentre è nell'ordine normale delle cose collegare il riformismo e il garantismo. Un problema in più per un Pd che sta attraversando la crisi più grave della sua storia. Per onestà va aggiunto che si tratterà di vedere anche come la maggioranza di centrodestra nelle sue varie componenti sosterrà o meno le posizioni di Nordio. 

 

 

 

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