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Autonomia, Bonaccini rinnega se stesso: "Si è rimangiato tutto"

Fabio Rubini
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La coerenza non è tra le qualità migliori di Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna e candidato alla segreteria del partito democratico. Nel corso degli ultimi cinque anni non ha cambiato solo look, passando da quello del grigio funzionario periferico di partito a quello più sgarzolino, con tanto di occhiali a goggia, jeans coi risvoltini che fa tanto giovane e tartaruga palestrata. No, la giravolta più clamorosa del governatore è quella che sta facendo in questi mesi sull’Autonomia differenziata. Per l’esattezza il cambio di rotta coincide in maniera sospetta con la sua candidatura a guidare il Pd.

Andiamo con ordine, perché nel binomio Bonaccini-Autonomia c’è sempre stato un che di ambiguo. L’anno cruciale nel quale la necessità di una riforma in senso regionale prende forma è il 2017. Veneto e Lombardia approvano nei rispettivi consigli regionali la realizzazione di un referendum consultivo da tenersi il 22 ottobre. La sinistra si agita perché sa che mai come questa volta Zaia e Maroni sono decisi a fare sul serio. Bonaccini, preso in contropiede e pressato dall’apparato produttivo della sua regione si sbilancia in un’intervista a Repubblica nella quale, pur tra mille distinguo, dichiara: «Non chiedo più soldi allo Stato, ma più libertà di gestirli su alcune precise materie». Questa frase vi ricorda qualcosa? Già, è l’esatto presupposto dal quale è partito il ministro Calderoli per scrivere il ddl approvato ieri in Consiglio dei ministri. Con i governatori che, appunto, a Roma non chiedono soldi - al momento il famigerato residuo fiscale non verrà toccato - bensì maggiore libertà per poterli gestire meglio e con gli eventuali risparmi poter finanziare nuovi servizi per i cittadini.

La cosa curiosa è che poco tempo prima il governatore emiliano si era speso pancia (allora ce l’aveva) a terra per il “sì” al referendum costituzionale promosso da Matteo Renzi, che è passato alla storia - e fortunatamente non alle urne - come una delle riforme più centraliste della storia di questo Paese, con tanto di materie regionali che sarebbero tornate in capo allo Stato.

 

 

 

IL TRUCCHETTO DEL PD

Passano i mesi, la sinistra capisce che non ci sarà modo di fermare il referendum del lombardo-veneto e allora cosa s’inventano quei gran geni di Bonaccini e Gentilioni, all’epoca premier? Una bella pre intesa sull’autonomia che viene siglata il 18 ottobre 2017, ad appena quattro giorni dall’apertura delle urne. Lo scopo dell’accelerazione è chiaro: dimostrare che i referendum sono inutili e che all’Autonomia si sarebbe potuti arrivare anche senza spendere i soldi per chiamare a raccolta veneti e lombardi. Zaia e Maroni, ovviamente, non abboccano e in quello storico 22 ottobre sono oltre 4 milioni i cittadini che barrano il “sì” sulle schede (in Lombardia elettroniche) riportanti il quesito sull’Autonomia.

 

 

 

Intanto Bonaccini, che sa benissimo che la riforma sarebbe stata un vantaggio anche per lui, prosegue nella sua opera di proselitismo di quanto sia indispensabile che le regioni abbiano meno vincoli. Ne è talmente convinto che nel febbraio 2018, si presenta a Roma con Zaia, Maroni e l’allora sottosegretario Gianclaudio Bressa. C’è una foto facilmente reperibile in rete, che li vede tutti e quattro sorridenti con in mano la cartellina aperta contenente l’intesa sull’Autonomia appena firmata. Una linea, come detto, che seppur con qualche sfumatura Bonaccini ha tenuto fino alla nascita del governo Meloni. Da lì e dalla successiva candidatura a segretario del Pd, ecco la metamorfosi. Quella che ieri lo ha portato addirittura ad ipotizzare «una mobilitazione con tanta gente nel Paese» per una riforma definita «spacca Paese e che va rigettata». A suonare stonato, giravolte a parte, è quando Bonaccini chiede nell’ordine «un coinvolgimento del Parlamento, la costituzione dei Lep e il superamento della spesa storica». Tutti argomenti, come gli ha fatto notare il ministro Calderoli, «che non erano presenti nell’intesa da lui firmata con Gentiloni e che invece fanno parte di questo ddl». Solo che per saperlo bisognerebbe almeno averlo letto. 

 

 

 

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