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Rai, Matteo Salvini: una lettera di sfratto a Carlo Fuortes

Francesco Storace
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Una ramazza al posto del cavallo. Viale Mazzini - con annessi Saxa Rubra, via Teulada e via Asiago - bonificati da una presenza sempre più invasiva della sinistra. Non usa questi termini, ma Matteo Salvini lo fa capire. Alla Rai si sta esagerando e davvero il centrodestra, largamente maggioritario anche tra quanti sono costretti a pagare il canone non può restare a guardare.

Sono giorni che il segretario leghista batte sul ferro del servizio pubblico radiotelevisivo. Le villanate di Sanremo come l’andamento quotidiano dei notiziari e in generale dell’informazione tra testate giornalistiche, reti e cosiddetti “generi”, costa troppo se diventa un finanziamento surrettizio e pubblico alle idee della sinistra. Cambiare passo, gestione, vertici. Adopera termini diversi, Salvini, ma la sostanza è questa. Ormai si è superato ogni argine, è l’ora di intervenire. Anche perché proprio il canone resta elemento di profonda divisione. Se la Rai non rappresenta il Paese reale, perché bisogna pure pagare?

Dice il capitano leghista: «Ci sarà da fare una riflessione sul canone, su quello che costa la Rai, su certi superstipendi e sugli agenti esterni». È una domanda di trasparenza a cui bisogna saper rispondere. A viale Mazzini nicchiano. Probabilmente, il segnale è anche alla coalizione di maggioranza. Muoviamoci ora, sembra dire il vicepremier a Fdi e Forza Italia. Le voci di dentro - Palazzo Chigi - sussurrano di una Giorgia Meloni altrettanto arrabbiata con un’azienda che pensa con qualche servizio più o meno addomesticato di conquistarsi la benevolenza del premier. Berlusconi appare più prudente solo per non apparire sbilanciato in favore di Mediaset. Ma non c’è dubbio che il caso Fuortes vada affrontato.

 

IL NODO DA SCIOGLIERE
L’amministratore delegato in carica è stato nominato da un governo, quello giallorosso ed è rimasto con Mario Draghi. Pretendere che nulla debba succedere anche con l’esecutivo della Meloni è un fuor d’opera. Anche perché è proprio Fdi a ricordare di essere rimasto fuori dal consiglio di amministrazione aziendale sia quando era all’opposizione e anche ora che è il primo partito: un unicum. Alla Rai sembra regnare l’irresponsabilità. Come dice Salvini non è Sanremo a determinare la voglia di cambiamento, anche se la kermesse è sembrata come la goccia che fa traboccare il vaso. Ma la triste ammissione che le scenette più contestate siano andate in onda all’insaputa dei vertici può voler dire due cose: nessuno sa quel che succede oppure che tutto fosse concordato. In un caso come nell’altro, il foglio di via diventa obbligatorio. 

Fuortes è l’ostacolo al cambiamento. Pare che nei giorni pari egli aspiri ad una collocazione all’altezza, il che è anche umano; ma in quelli dispari si irrigidisca e contrasti ogni ipotesi di riassetto aziendale. Il centrodestra non vuole liquidare aprioristicamente il servizio pubblico radiotelevisivo. Ma il tema è capire se la Rai assolve davvero alla sua delicata funzione. Il pluralismo non è asservimento ma racconto dell’Italia reale. E questo non c’è, proprio perché la sinistra che comanda, nei tiggìcome nei gr radiofonici, è sintonizzata solo sulla politica di riferimento. E non si sono ancora accorti di quanto sia ultraminoritaria.

 

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